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Laura Pusceddu Abis racconta le grandi rockstar

Laura Pusceddu Abis è l’autrice del libro “Che musica! 20 rockstar leggendarie” (EL edizioni), uscito lo scorso 20 marzo. Un volume molto originale e interessante, che vuole far scoprire alle nuove generazioni i grandi cantanti, del passato e non, partendo da Ray Charles fino a Lady Gaga, passando da Elvis, Bob Dylan, Bowie, Queen, Madonna e tanti altri.

L’opera è rivolta ai bambini dai 9 anni in su ma può essere apprezzata e goduta da chiunque. 

Abbiamo intervistato Laura che ci ha raccontato come è nato questo progetto e quale è il suo rapporto con la musica.

Che importanza ha la musica nella tua vita?

Tantissima, è un qualcosa che fin da piccola mi ha sempre accompagnato. Se la ami la porti sempre con te e diventa un rifugio, oltre che una continua fonte di ispirazione e forza.

Come hai scelto le 20 rockstar del tuo libro?

La lista dei 20 artisti raccontati nel libro l’ho stilata insieme alla casa editrice. Davanti alla mia proposta iniziale, l’editore ha suggerito nuovi nomi da aggiungere e alcune sostituzioni, finchè siamo arrivati ad avere la rosa dei 20. La scelta è ricaduta su quegli artisti che, oltre ad aver lasciato un segno importante nella storia della musica, raggiungendo, inoltre, altissimi livelli anche in termini di successo commerciale, avevano alle spalle anche una storia personale particolarmente significativa, in cui i piccoli lettori potessero in qualche modo riconoscersi.

Come nasce l’idea di un libro adatto a tutte le età?

L’idea è nata dalla voglia di raccontare principalmente le grandi star del rock e del pop ai bambini e ragazzi, per creare in loro una mappa di riferimento musicale che diventa automaticamente anche mappa di conoscenza storica. Avevo notato una lacuna nell’editoria per ragazzi a tema musicale, che nella maggior parte dei casi, qui in Italia, si concentra sui grandi compositori di musica classica e qualche jazzista, ma dedica poco spazio a generi come il pop e il rock. Inoltre, le storie di questi artisti per me hanno un grandissimo “messaggio” intrinseco da veicolare e volevo che arrivasse ai più giovani. Il target principale erano dunque i bambini e ragazzi dai 9-10 anni in su, ma nel suo esito finale il libro si è rivelato assolutamente adatto a lettori di tutte le età, sia per il racconto snello, che per la presenza delle curiosità e della top five, oltre che per le bellissime illustrazioni fatte dalla brava Lilla Bolecz che colpiscono a prescindere dall’età di chi guarda.

C’è una rockstar che ha segnato la tua vita? E una canzone?

Le star e i brani che hanno segnato la mia vita sono tantissimi e per me è davvero difficile rispondere a questa domanda. Da piccola ho ascoltato molto soul e cantautorato italiano, da adolescente molto rock e punk, adesso ho esplorato a fondo il pop e l’elettronica…. Se parliamo delle star del libro, sicuramente Aretha Franklin e Michael Jackson sono artisti a cui sono molto legata, ma anche i Ramones, i Nirvana, i Pink Floyd fanno parte della colonna sonora della mia vita.

Quali progetti hai per il futuro?

Per il futuro, sicuramente continuare a scrivere e a studiare musica. Mi piacerebbe poter avere di nuovo la possibilità di unire queste due passioni. Ad esempio, una cosa che spero di poter fare in futuro è quella di scrivere i testi dei brani di qualche bravo artista!




Mattia Marzi racconta come è nato “Tu lo conosci Coez”

Mattia Marzi, 24 anni, affermato e preparato giornalista musicale, redattore per Rockol, ha da poco pubblicato il suo primo libro, “Tu lo conosci Coez?”, sulla crescita umana e artistica del cantautore e rapper italiano Silvano Albanese, in arte Coez. Il libro, uscito lo scorso febbraio, è già un successo.

Un esordio letterario interessante. Perché un libro su Coez? Lo conoscevi? Come ti sei avvicinato al personaggio?

Innanzitutto permettimi di salutare tutti i lettori di “Cosmopeople” e di ringraziarvi per lo spazio che mi state dedicando. Dunque… Perché un libro su Coez? È stata la casa editrice a contattarmi per propormi di scrivere un libro su Coez, lo scorso settembre. Arcana stava per inaugurare una collana interamente dedicata ai cantautori del 2000 e tra i libri in programma c’era anche un volume dedicato a Coez. Lo conoscevo e avevo anche avuto modo di scrivere degli articoli su di lui per Rockol, il sito con il quale collaboro da ormai qualche anno e del quale sono uno dei redattori. In particolare, avevo recensito il suo ultimo album, “Faccio un casino”, e avevo parlato di Coez in un articolo sulla terza generazione di cantautori romani. È stato proprio dopo aver letto questi articoli che Arcana mi ha invitato a scrivere il libro e io ho accettato. Non vi nego che era da un po’ che sognavo di scrivere un libro, ma non mi ero mai sentito del tutto pronto a farlo. Forse non mi sentivo all’altezza o forse, più semplicemente, “non sapevo da dove iniziare” (quasi citando Coez!). Quando è arrivata la proposta di Arcana non ci ho pensato due volte: ho accettato e mi sono messo alla prova.

Mi sono avvicinato al personaggio semplicemente cercando di raccontare in modo onesto, sincero e schietto la storia di Coez (e spero di esserci riuscito): dalle prime rime scritte in cameretta fino al successo che ha ottenuto a livello “mainstream” con l’ultimo album, passando per l’esperienza con il suo primo gruppo, i Circolo Vizioso, il collettivo dei Brokenspeakers, il debutto come solista e la svolta di “Ali sporche”. Ho provato a raccontare non solo l’artista, ma anche la persona e la storia dietro le sue canzoni: il rapporto burrascoso con il padre, l’attaccamento alla mamma (alla quale ha recentemente dedicato anche “E yo mamma”), le tante porte che gli sono state sbattute in faccia, la fatica che ha fatto per arrivare al successo (per molto tempo i media “tradizionali”, “mainstream”, di Coez proprio non volevano saperne, perché secondo loro non era abbastanza “pop” per il pubblico generico e non era abbastanza rap per entrare in certi circuiti). Non è stato facile, prima di cominciare a scrivere il libro ho raccolto parecchio materiale, perché volevo che i contenuti fossero quanto più veritieri possibile. Anche se ho deciso di avvicinarmi molto, a livello di tono e di stile, alla forma del romanzo: proprio perché volevo raccontare una storia, ma con un taglio “giornalistico” nella ricerca dei contenuti.

Come hai raccolto il materiale per scrivere il libro?

Per raccontare gli ultimi tre album, “Non erano fiori” del 2013, “Niente che non va” del 2015 e “Faccio un casino” del 2017, quelli della svolta “cantautorale” per intenderci, ho avuto a disposizione parecchio materiale, tra interviste, videointerviste, recensioni e altro. Invece è stato più difficile andare a recuperare materiale relativo alla prima fase della sua carriera, quella precedente la svolta di “Ali sporche”, cioè il Coez-rapper. Sono andato a recuperare vecchie interviste ai Circolo Vizioso e ai Brokenspeakers e vecchi articoli su questi gruppi, con i quali Coez si è fatto conoscere all’inizio della sua carriera. Poi ho trovato spunti interessanti anche nei testi dei brani contenuti all’interno degli album del primo periodo, in particolar modo quelli dell’album solista “Figlio di nessuno”: lì Coez ha raccontato molto di sé e della sua storia personale. Ci tenevo ad essere preciso nel racconto dei fatti e delle vicende, così ho pensato di confrontarmi anche con chi è stato vicino a Coez nel momento cruciale della sua carriera, il passaggio da “rap” a “cantautorato”-“pop”: Riccardo Sinigallia (che ha prodotto l’album “Non erano fiori”) e Dario Giovannini di Carosello Records (che ha accolto Coez nel suo roster e ha pubblicato i suoi dischi tra il 2013 e il 2016). Entrambi hanno accettato di partecipare al progetto, di contribuire con una testimonianza: sono stati gentilissimi e il loro contributo è stato per me molto prezioso.

Secondo te, da esperto del settore musica, il rap è la musica del futuro? Anche in Italia? Ha ancora tanto da dire?

Parlare di “musica del futuro” secondo me è rischioso. Perché i tempi che stiamo vivendo sono decisamente frenetici. Le mode si rincorrono velocissime: una moda, o nel nostro caso un genere musicale, non fa in tempo ad affermarsi che subito arriva una nuova moda. Ora, ad esempio, va fortissima la trap, che nasce in ambito hip hop ma che sembra pian piano emanciparsi e diventare un genere a sé stante.

Il rap è nato negli Stati Uniti tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ‘80, ma negli States ha raggiunto il successo “commerciale” solo qualche anno dopo. Il rap italiano è un caso particolare. I primi rapper hanno cominciato a farsi strada tra la fine degli anni ‘80 e i primi anni ‘90 “scimmiottando” quelli americani. Per lungo tempo il rap, in Italia, è rimasto confinato all’interno del cosiddetto “underground” (se escludiamo casi come quelli di Jovanotti o degli Articolo 31, che però venivano accusati dai rapper duri e crudi e dai puristi di essere sostanzialmente dei “poppettari”). Anche perché erano gli stessi rapper che si auto-escludevano: per loro partecipare a manifestazioni come il Festivalbar oppure pubblicare pezzi più “radiofonici” era come svendersi al sistema. La vera testa d’ariete del rap italiano è stato Fabri Fibra, che con un album come “Tradimento” ha fatto il dito medio ai diktat della scena e ha dimostrato che era possibile fare un rap dai toni più “pop” ma dai contenuti importanti e coerenti con le radici del genere, restando comunque credibile. Un anno importante, per la storia del rap italiano, è stato il 2013: quell’anno i dischi dei rapper italiani hanno cominciato a scalare le classifiche. Però poi è come scattata una caccia ai primi posti: molti rapper hanno preferito avvicinarsi al “pop”, altri invece – come per reazione – sono tornati allo spirito degli esordi. Non so se il rap è davvero la musica del futuro e se ha ancora tanto da dire. Sicuramente come genere ha cambiato le carte in tavola e “rivoluzionato” – tra molte virgolette – la canzone italiana, non solo a livello di suoni e contenuti, ma anche a livello di spirito e di atteggiamento.

Stai lavorando ad altri progetti?

Per ora preferisco tenere la bocca cucita e non sbottonarmi. Scrivere il libro su Coez è stata una bella esperienza: mi ha insegnato molto e mi ha entusiasmato. E poi è stata la mia prima volta… e come tutte le prime volte è stata fantastica. Mettiamola così: non mi dispiacerebbe ripetere questa esperienza in un futuro prossimo. Chissà!




Barbara Foria torna al Nuovo con Eu…foria!

Torna al Teatro Nuovo di Milano un grande successo della scorsa stagione: Eu…foria! con la comicità travolgente di Barbara Foria.

Una carica esplosiva di femminilità e la consapevolezza di sentirsi, dopo i 40 anni, una “gnocca vintage” con ancora  un corpo da favola.

Barbara Foria, dopo una straordinaria edizione di Colorado su Italia 1 nei panni di Scianel (parodia di successo della boss di Gomorra), un cinepattone al fianco di Massimo Boldi, e dopo aver recitato al Teatro Manzoni e al Leonardo, è pronta a mostrare a Milano tutto il suo talento e la sua autoironia raccontando, in esilaranti monologhi, tutto quello che le donne non dicono, ma pensano!

Un mirabolante viaggio della donna d’oggi, in eterna lotta con i social, con whatsapp  e con l’amore sempre più virtuale e sempre meno reale. Una donna alle prese con il corpo che cambia e il metabolismo che va in blocco come le caldaie, e mai che si vedesse un’idraulico capace di sbloccare la situazione!

Barbara Foria affronta con la solita grande ironia i vizi e le virtù dell’essere donna con la D maiuscola, in balia di uomini con la C minuscola. Dove la C fa ovviamente riferimento al Cervello… o al Cuore.

La vita va vissuta con ironia e tanta euforia. Dopo i 40 ci chiamano M.I.L.F.? Per me è l’acronimo di: MO’ INIZIA LA FELICITÁ!

4 – 13 maggio 2018

Teatro Nuovo di Milano

Eu…foria!

di e con Barbara Foria

Biglietti e info

Tel. 02794026

Biglietti da 14,50€

www.teatronuovo.it




Autobiografia Erotica di Starnone in scena al Parenti

In un appartamento di Roma, un uomo e una donna, Aristide e Mariella, si rivedono dopo 20 anni. Non sono amici, solo due sconosciuti che si sono incontrati, una volta sola e per poche ore, 20 anni prima, e hanno avuto un furtivo e frettoloso rapporto sessuale.

Lui, pur non ricordando chi fosse quando ha ricevuto la sfacciata convocazione da parte di lei, accetta l’invito. Lei ora gli chiede di scavare in quelle poche ore di molti anni prima e di ricostruirle minutamente, utilizzando, per giunta, un linguaggio lascivo.

«Cosa è accaduto allora? La realizzazione di un puro, irresponsabile desiderio sessuale? Se è così – dice Mariella – perché parlarne con il linguaggio dolce dell’amore? Meglio l’oscenità».

Comincia così un gioco, in cui i due ripercorrono, scompongono e analizzano il loro primo incontro, mettendo a confronto, ora con allegria ora con crudeltà, due esperienze sulla sessualità molto diverse, alla ricerca di un punto di incontro.

In un mondo dove solo il sesso sembra dar senso alle cose, che sembra essersi trasformato in una nuova  religione laica con cui fare i conti quotidianamente, un ago della bilancia che soppesa, valuta, influenza ogni azione volontaria o involontaria.

E la psicanalisi, nuovo dogma dell’uomo moderno, fa da arbitro che ora assolve e ora condanna.

Domenico Starnone, dopo Lacci e La scuola, ritorna ancora una volta alla drammaturgia teatrale con Autobiografia Erotica (dal suo romanzo Autobiografia erotica di Aristide Gambía) in uno spettacolo diretto da Andrea De Rosa.

Credo che l’esperienza più importante che si possa fare ancora oggi a teatro è quella di mettere in discussione la propria identità – dice il regista Andrea De RosaPer questo sono affascinato da quei personaggi che, credendo di conoscersi, nel corso di un dramma o di una commedia finiscono invece per vedere sgretolarsi le proprie certezze, scoprono che ciò che credevano di sapere di sé stessi e della propria vita era falso, artefatto o almeno incompleto (Edipo è l’esempio più grande di questo tipo di personaggio). È ciò che accade ad Aristide Gambia, nel corso del bellissimo testo che Domenico Starnone ha tratto dal suo romanzo. Una donna si ripresenta nella vita di Aristide a distanza di vent’anni e lo invita, in maniera insieme ludica e misteriosa, a ripercorrere un episodio che lui aveva velocemente archiviato nel reparto “avventure erotiche senza importanza della mia vita”: una mezza giornata trascorsa insieme, una scopata veloce, vent’anni prima. Attraverso un linguaggio crudo ed esplicito, la memoria di quella giornata diventa pian piano il pretesto per andare a fondo nel pozzo nero della rimozione, dove spesso accantoniamo ciò che crediamo senza alcuna importanza e che è invece lì, in agguato, pronto a rimescolare profondamente il senso della nostra vita. Ho scelto di cancellare dalla scena e dal testo originale qualunque riferimento realistico. Dopo molti spettacoli in cui ho sperimentato a fondo gli apparati che le nuove tecnologie offrono al teatro (soprattutto nel campo delle tecnologie del suono), ho scelto stavolta di lavorare solo con gli attori, un tavolo e due sedie, per concentrarmi esclusivamente sulla domanda che il testo porta dentro di sé, l’unica che mi preme davvero: chi siamo noi, chi sono io veramente?

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24 – 29 aprile 2018

Teatro Franco Parenti – Sala AcomeA

Autobiografia Erotica

di Domenico Starnone
tratto da Autobiografia erotica di Aristide Gambía, romanzo di Domenico Starnone
con Vanessa Scalera e Pier Giorgio Bellocchio
Regia Andrea De Rosa

produzioni Cardellino srl

Biglietti
intero: platea 23,50€; galleria 18€
convenzioni > 18€
over 65/ under 26 > 15€
+ diritti di prevendita

Info e biglietteria 

Biglietteria
via Pier Lombardo 14
02 59995206
biglietteria@teatrofrancoparenti.it




Il turismo del vino tra vigne e cantine

Relais, hotel di charme o locande che affiancano storiche cantine dalle etichette blasonate dove scoprire i segreti dei vigneron, ma anche provare trattamenti di bellezza a base d’uva, trovare ristoranti esclusivi, esplorare il territorio, rimanendo incantati davanti scenari mozzafiato e dai borghi medioevali che costellano la campagna italiane, scovare prodotti tipici da portare a casa, prendere parte a lezioni di cucina o di arti antiche e “quasi” dimenticate. Il turismo del vino è in pieno boom: da Nord a Sud, sono sempre più numerose le cantine dove organizzare fine settimana o intere vacanze wine friendly. In Alto Adige, terra di Pinot e Chardonnay, è nato persino un network di “vinunm hotel” dove scovare la propria struttura da sogno.
Nel frattempo, ecco alcuni posti da mettere in agenda per il prossimo ponte di primavera.

 

 TERENZI –LOCANDA DI CHARME A SCANSANO,  NEL CUORE DELLA MAREMMA

L’esclusiva locanda di charme di nove camere domina sulla campagna di Scansano, nel cuore della denominazione del Morellino, e sulla vallate del fiume Albegna. dal casolare si vedono i sessanta ettari di vigneto e i 12 di oliveto di Terenzi, un’azienda agricola fondata dall’omonima famiglia milanese nel 2001 e che ha ridato smalto al Morellino di Scansano. La società oggi è gestita dai tre figli del fondatore Florio Terenzi: Federico, Balbino e Francesca Romana e può contare su una produzione di 360mila bottiglie (tra cui icone come Madrechiesa e Purosangue). E, nonostante la storia piuttosto recente cantina, Terenzi vanta già un gran cru, Madrechiesa, valutato tre bicchieri dal Gambero Rosso. Regalarsi un break da Terenzi significa godere della Maremma e del suo patrimonio enogastronomico, senza considerare che le Terme di Saturnia si trovano a soli cinque chilometri da Scansano. Una pausa nelle vasche naturali di acqua bollente rigenera delle fatiche della settimana e per di più è anche gratis.

  ROCCAFIORE –UN RESORT A  TODI ALL’INSEGNA DELLA SOSTENIBILITA’  

La prossima tappa del viaggio intrapreso da Roccafiore è quella di un hotel diffuso con chalet tra i filari della vigna: casette in legno 100% sostenibili e a basso impatto e che permetteranno di immergersi pienamente nella natura. Nel frattempo Roccafiore è un’isola immersa nel verde, ben 90 ettari di riserva, tra vigne, uliveti e colture di seminativi, all’interno della quale l’ospite può alloggiare e degustare vini e prodotti del territorio, alloggiare. Qui il vino non si versa solo nei calici, è anche un paesaggio ricamato di vigneti in cui perdere lo sguardo ed è impiegato nei trattamenti della beauty farm. Roccafiore, dall’altro delle sue 130mila bottiglie, è un “riserva bionaturale” che conserva la tradizione agricola del territorio di Todi e impiega le innovazioni tecnologiche, trasformandole in strumenti di tutela dell’ecosistema esistente.

CASTELLO DI MELETO – A  GAIOLE IN CHIANTI SI DORME IN UN CASTELLO CIRCONDATI DA E ETTARI DI VIGNE DOVE ORGANIZZARE PICNIC  

Natura, arte, cucina e spettacoli si intrecciano al Castello di Meleto in Gaiole in Chianti una dimora signorile le cui origini risalgono al 1256 e oggi azienda agricola, hotel storico e, con il suo teatro del ‘700, centro culturale del territorio. Un’azienda con una storia quanto mai peculiare visto che ha avuto origine nel 1968 grazie a una sottoscrizione pubblica lanciata da Gianni Mazzocchi, presidente dell’Editoriale Domus, attraverso il suo magazine Quattroruote, per acquistare casali, terreni, pieve e castello nel Chianti. Oggi il Castello di Meleto conta su ben 180 ettari di vigneto e costituisce una delle maggiori realtà sul territorio di produzione del Chianti Classico Docg, produce olio biologico grazie alla presenza di 1600 olivi secolari e salumi di cinta senese, ed è ormai un centro turistico di forte attrazione turistica.   Qui si può ci si può rilassare o imparare a cucinare o a riconoscere il vero extravergine di oliva e i salumi di qualità. Da non perdere i picnic in vigna, oltre agli appuntamenti artistici nel nostro teatro settecentesco: monologhi, musica classica, musical per famiglie.

 

 




La Giostra, il musical debutta a Torino

Debutta a Torino, il 21 aprile, al Teatro Sporting Dora, l’inedita commedia musicale “La Giostra, il musical”.

Lo spettacolo, ambientato in una casa di accoglienza, agli inizi degli anni 90, racconta il percorso esistenziale di giovani ragazzi che, dalle ombre delle proprie paure, risorgono fino a diventare protagonisti della propria vita.

Il soggetto inedito è di Federica Cardamone e Santi Scammacca, che ne cura anche la regia, mentre i brani musicali, tutti originali, sono stati composti dal M° Umberto Gaudino e da Carlo Montanari.

Lo spettacolo è interamente realizzato da artisti della città di Torino che hanno osato indagare il teatro musicale nelle sue più complesse forme, tanto da creare un’opera matura e dal sicuro effetto drammatico.

La città di Torino, riconosciuta l’importanza artistica del progetto, si è prestata con le sue risorse alla realizzazione dello stesso. OffGrid Italia ha costruito la scenografia con materiali di scarto e rifiuti, cui ha dato una seconda vita e una nuova bellezza. L’utilizzo di tali materiali si pone anche in relazione con i personaggi e la storia, andando a sottolineare ancora di più l’analogia tra il decadimento personale dei protagonisti e quello dell’ambiente che li circonda. Questa forte tematica ha fatto sì che anche il Museo dell’Ambiente (MACA) desse il proprio supporto.

I costumi di scena, pezzi originali dismessi degli anni ’90, sono stati forniti dall’atelier Cha.rly Vintage & Flowers.

Abbiamo scelto l’ambientazione negli anni 90 perché sono sempre di forte tendenza in ogni elemento mediatico – dicono gli autori – Tra l’altro, essendo uno spettacolo autoprodotto ed ecosostenibile, la moda degli anni 90, un patchwork di tanti stili, era più facilmente reperibile e riusabile

Salite, salite, amici miei sulla giostra. Quale meravigliosa attrazione!”.

Teatro Sporting Dora – Torino
21 aprile 2018 ore 21

La Giostra, il musical

con Alberto Bellomo, Federica Cardamone, Stefano Limerutti, Arianna Luzi, Maria Elvira Rao, Francesca Canova, Davide Najjar, Elia Rossi, Giulia Sferrazza e Denise Zaffonte.

Regia di Santi Scammacca

Coreografie: Anna Amelio

Arredi di scena: OffGrid Italia, ReLand

Costumi: Cha.rly Vintage&Flowers

Biglietti : 18 euro (prezzo intero); 15 euro (prezzo ridotto under 16 e over 65)

Per maggiori info:

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Primavera in festa nei grandi giardini d’Italia

La primavera sboccia in numerose ville e castelli storici tra cui i 125 presenti nel network Grandi Giardini Italiani. Ed aprile è il mese migliore per andare alla scoperta di questo patrimonio del verde “made in Italy”, soggiornando in borghi incantanti e scoprendo nuovi  percorsi.

La primavera si accende di colori e fioriture, in particolare in questi luoghi:

  • Castello di Pralormo (Torino) dove si attende la fioritura di 80mila tulipani e narcisi e la fioritura dei ciliegi giapponesi. Ad aprile ha luogo la manifestazione “Messer tulipano
  • Giardini botanici di Villa Taranto (Verbania-Pallanza) In primavera trionfano tulipani (sono piantumanti oltre 20mila bulbi di 65 varietà diverse), muscari (oltre 40mila bulbi che formano un tappeto blu) e narcisi e fioriscono azalee, rododendri, forsizie e magnolie.
  • Isola Bella a Stresa Rododendri e camelie, oltre a una magnifica collezione di rose trovano posto nel celebre giardino all’italiana del Lago Maggiore.
  • Isola Madre a Stresa. Per Gustave Flaubert era “il luogo più voluttuoso al mondo”. Da non perdere la fioritura primaverile di rododendri, camelie, azalee, e magnolie.
  • Oasi Zegna a Trivero sulle Alpi Biellesi. Un ambiente voluto e ideato da Ermenegildo Zegna a partire dal 1938. Da non perdere la conca dei rododendri

Ma se si ha qualche giorno in più, approfittando magari di uno dei ponti di primavera, potrebbe essere interessante un tuffo nella storia delle ville e dei giardini itlaiani che parte dal giardino rinascimentale e arriva ai nostri  giorni, con un parco all’insegna della sostenibilità.

GIARDINI DI PALAZZO FARNESE Il complesso è stato ideato dall’architetto Jacopo Barozzi da Vignola su commissione del cardinale Alessandro Farnese a Caprarola (Viterbo). I giardini di Palazzo Fanese  rappresentano un’icona dei giardini all’italiana rinascimentali dove l’uso bosso in forma geometrica, la presenza di grotti, fontane e corsi d’acqua artificiali sottolinea  la consapevolezza raggiunta dell’uomo artefice di se stesso e “addomesticatore” della natura. Nei giardini Vignola ha realizzato la sintesi tra natura e artificio architettonico caratteristico delle ville del Lazio del Cinquecento. L’ingresso costa 5 euro.

GIARDINO STORICO GARZONI Il giardino di Collodi (Pistoia) è l’emblema  un ‘600 in cui i palazzi aristocratici ospitavano luoghi di svago e cultura per le corti, divenendo centri di relazione personali e politiche. Il giardino incastonato in una collina dove il percorso si dipana tra vialetti, fontane e giochi d’acqua alla scoperta del labirinto, del teatro della verzura, del viale die poveri fino alla villa. Il primo architetto fu probabilmente Romano di Alessandro Garzoni intorno al 1633. Un secolo dopo Diodati Ottaviano, architetto del paesaggio del ‘700 e traduttore dell’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert, ha concorso a disegnare aree del giardino e la Palazzina d’Estate.  Il giardino è aperto da marzo a novembre, l’ingresso costa tra i 10 e i 13 euro a seconda della stagione.

CASTELLO DI GRAZZANO VISCONTI Centocinquantamila ettari di parco custoditi a Grazzano Visconti, appena fuori Piacenza. Il castello del XIV secolo ospita il giardino ancora oggi di proprietà della famiglia Visconti e attorno a cui, agli inizi del ‘900, Giuseppe Visconti di Modrone ha voluto ricreare un borgo di all’atmosfera medioevale.  Il parco è stato ideato e realizzato tra fine ‘800 e inizio ‘900 sempre da Giuseppe Visconti di Modrone (padre di Luchino Visconti che qui trascorse l’infanzia) come giardino eclettico in cui convivono le simmetrie del giardino all’italiana e l’atmosfera romantica. Il parco è aperto al pubblico con visite guidate nei week end e nei giorni festivi. L’ingresso costa 8 euro

GIARDINO E CASA COSENI Una villa siciliana con un giardino art déco dei primi anni del ‘900 Casa Coseni si trova nella parte collinare di Taormina ed è stata costruita a inizio ‘900 dal pittore inglese Rober Kitson divenendo presto centro artistico internazionale. Da qui infatti sono passati, tra l’altro, Pablo Picasso, Salvador Dalì, Henry Moore e Ezra Pund e, in un periodo successivo, Tennessee Williams, Bertrand Russell e Henry Faulkner. La casa custodisce collezioni a testimonianza del tradizionale Grand Tour Inglese e una sala da pranzo di Frank Brangwin, tra i primi decoratori di Tiffany. Lo stesso Brangwin ha disegnato anche il giardino della villa, utilizzando e prospettive sull’Etna e sul golfo di Naxos e il paesaggio come elementi decorativi.  Nel giardino le piante africane si mescolano agli agrumi siciliani e alle rose inglesi. Casa e giardino sono aperti dalle nove di mattina fino a un’ora prima del tramonto. L’ingresso costa 15 euro.

PARCO GIARDINO SIGURTÀ Boschi, fioriture straordinarie (un milione di tulipani, oltre giacinti e narcisi), un labirinto con 1500 esemplari di tasso, specchi d’acqua e ninfee, il viale delle rose e distese erbose per complessivi 600mila metri quadrati di parco voluti, a metà del 900, da Carlo Sigurtà, industriale farmaceutico innamoratosi di Valeggio sul Mincio. Alcune aree del parco sono state disegnate da Cocker Henry, tra i più noti architetti del passaggio del novecento.  Oggi il parco, a metà strada tra Verona e Mantova, continua ad essere della famiglia Sigurtà ma tra marzo e novembre è aperto al pubblico. L’ingresso costa 12,5 euro.

 




La moda entra nei musei del mondo

La moda va al museo e fa sold out. Negli ultimi mesi sono stati  inaugurati due musei dedicati a Yves Saint Laurent : uno a Parigi, nello storico atelier in Avenue Marceau dove trovano spazio le diverse creazioni dello stilista dallo smoking all’haute couture oltre a coloro a cui Saint Laurent si è ispirato (Henry Matisse e Pablo Picasso compresi),  e un altro nella città di elezione del couturier francese, Marrakesh, dove oltre a 5mila abiti, 15mila accessori, un  auditorium e una biblioteca, trova posto una libreria che  riproduce la prima boutique aperta a Parigi dall’artista.

Ma la danza infinita di creatività tra abiti e accessori, profumi e foto di passerella, prende numerose altre vie fino a raggiungere tutti i continenti.  Sono sempre più numerosi i musei del fashion e le mostre monotematiche dedicate a singoli stilisti o maison che hanno fatto la storia del settore e attraggono ormai più visitatori dei poli culturali più tradizionali. A dare il via al trend è stata “Savage Beauty” esposizione dedicata ad Alexander Mc Queen organizzata dal Metropolitan di New York nel 2011 (dove è presto diventata una delle mostre più viste di tutti i tempi con 650mila visitatori) e poi ospitata nel 2015 dal Victoria&Albert di Londra è stata vista da più di un milione di persone, eguagliando le mostre dei record generalmente dedicate agli impressionisti.

E non poteva che essere la Francia, la patria dell’haute couture, ad annoverare i maggiori musei che qui gode della stessa attenzione dedicata alle altre arti figurative. A Parigi il Musée Galliera (Musée de la Mode de la Ville de Paris) vanta oltre 70mila pezzi dal 1780 ad oggi, tra cui abiti appartenuti a Maria Antonietta e outfit indossati da Audrey Hepburn in “Colazione da Tiffany. Ad Albi, in Occitania, dopo un doveroso omaggio al cittadino forse più illustre, Henri de Toulouse-Lautrec, vale la pena cercare nelle vie del centro un museo che è un piccolo scrigno della moda dove ogni anno vengono allestite esposizione a tema grazie alla ricca collezione dai proprietari. Di particolare fascino anche il Museo delle arti decorative della moda e della ceramica di Marsiglia ospitato nel castello Borély, dove trovano posto 5600 capi, 1600 accessori e 100 profumi. In Europa sono da visitare anche le collezioni del Victoria & Albert Museum di Londra e il MoMu di Anversa che, inaugurato nel 2002, ospita principalmente i lavori degli stilisti belgi.

Particolarmente attento al fashion è anche il Giappone che vanta il Kyoto Costume Institute con oltre 12mila capi di abbigliamento (sorprendentemente) occidentali risalenti addirittura al 17° secolo e 16mila documenti (è aperta al pubblico solo una selezione); il Bunka Gakuen Costume Museum di Tokyo che punta a scoprire la cultura giapponese e internazionale attraverso l’abbigliamento; il Sugino Gakuen Costume Museum di Tokyo e il Kobe Fashion Museum. A New York infine sono le gallerie del Metropolitan a giocare da protagoniste e, in particolare, quelle dedicate alla sezione Constume Institute, tra le più frequentate del museo, grazie agli oltre 35mila capi di abbigliamento e accessori provenienti dai cinque continenti a partire dal 15° secolo.

E l’Italia? Nel Paesi dove la creatività è, da sempre protagonista,  non esistono musei statali centrati solo sulla moda. A Milano, capitale riconosciuta del prêt-à-porter,  Palazzo Morando, sede delle collezioni di Costume Moda e Immagine, ospita collezioni e allestimenti che vale  la pena esplorare nelle mostre che ciclicamente vengono allestite. Due anni fa poi  Giorgio Armani ha festeggiato i quarant’anni del brand inaugurando Armani/Silos, in Via Borgognone, uno spazio di 4.500 metri quadrati che si sviluppa su quattro piani proponendo una selezione ragionata di abiti dal 1980 a oggi. La selezione racconta la storia e l’estetica dello stilista ed è suddivisa per temi: al pian terra la sezione Stars e la sezione dedicata al Daywear, al primo piano la sezione Esotismi, al secondo piano, Cromatismi, al terzo e ultimo piano la sezione Luce. Sempre sotto la Madonnina la Fondazione Prada “ha scelto l’arte come principale strumento di lavoro e di apprendimento” e propone dibatti e percorsosi culturali per “arricchire la vita quotidiana, aiutarci a capire i cambiamenti che avvengono in noi e nel mondo”.

Tra i musei della moda che mostrano uno spaccato di made in Italy, vale la pena mettere in agenda ci sono anche:
– il Museo Boncompagni Ludovisi di Roma che vanta 800 pezzi tra abiti e accessori di alcuni dei brand storici più importanti come Fausto Sarli, Gattinoni, Angelo Litrico, Roberto Capucci e Valentino;
– il Museo Salvatore Ferragamo a Firenze, ospitato all’interno di Palazzo Spini Feroni, documenta l’intera storia della maison e delle creazioni del suo fondatore, “il calzolaio delle stelle”;
– il Museo della Fondazione Roberto Capucci ospitato a Firenze a Villa Bardini espone i dodici abiti-scultura confezionati in occasione della Biennale di Venezia del 1995;
– la Galleria del Costume di Firenze (dal 2016 Museo della Moda e del Costume), parte del complesso museale di Palazzo Pitti conta ben 6000 pezzi fra abiti antichi e moderni, accessori, costumi teatrali e cinematografici tra cui alcuni abiti di Eleonora Duse e di Donna Franca Florio e i vestiti funebri del granduca Cosimo de’ Medici e della sua famiglia;
– Il Museo Internazionale della Calzatura Pietro Bertolini, all’interno del Castello Sforzesco di Vigevano,  vanta un patrimonio complessivo di oltre 3000 pezzi;
– La Fondazione Ratti a Como ospita un museo del tessuto
-Palazzo Mocenigo a Venezia, ospita abiti del XVII e XVIII oltre al Museo del Profumo.

 

 

 

 




Miriam Prato: Rinnovare l’Antico

di Emanuele Domenico Vicini – Sabato 14 aprile 2018, negli spazi del Broletto di Pavia, in Piazza della Vittoria, si inaugura una nuova mostra di Miriam Prato, una delle più famose pittrici pavesi, ormai collezionata in molti musei del mondo.

Miriam Prato, che per anni ha diviso la sia vita tra la professione di restauratrice e l’arte della pittura, è una delle più interessanti espressioni di quel filone dell’arte contemporanea fondato sul recupero colto della tradizione, come punto di partenza per libere interpretazioni e affascinanti giochi compositivi.

Tramontati i grandi miti delle avanguardie che hanno popolato a fasi alterne molta parte del XX secolo, esauritasi la spinta propulsiva del concettualismo che tanto aveva animato lo scenario artistico del secondo Novecento, il ritorno alla manualità, il recupero di profonde competenze tecnico pittoriche di tradizione, la consapevolezza del valore dell’immagine nella sua sensorialità e comprensibilità sono le mete che molta arte si è posta negli ultimi decenni.

Cogliendo gli spunti più ricchi che il suo lavoro di restauratrice leha offerto, Miriam Prato opera sulle incisioni delle Cronache di Norimberga, o su artisti come Giovanni Battista Bracelli, o ancora su tavole di Albrecht Dürer; le riproporziona, ne estrapola, a volte, dettagli e le inonda di colore, le trasforma in fiumi di inebriante vitalità cromatica. I cieli si tingono di toni di arancio, di blu, di nero; le figure prendono vita, circondate da abiti luminosi, da dettagli sgargianti e inebriate dai colori del nuovo mondo nel quale Miriam li pone.

Il suo lavoro manifesta un complesso processo culturale, nella scelta delle opere da cui muovere, nella elaborazione delle relazioni tra forme e colori che vengono stesi sulla tela.

Al contempo, Miriam sa porsi con rara intelligenza ed eleganza sull’impervio crinale dell’arte di oggi. Le sue tele non sono soltanto esempi di colto citazionismo, non si limitano a dichiarare uno degli assunti della contemporaneità postmoderna, cioè che non esistono più distinzioni diacroniche o gerarchiche nell’intero bagaglio della tradizione artistica; esse sono il frutto di una profondissima competenza e conoscenza dell’arte antica e della grafica in particolare. Gli equilibri cromatici, le soluzioni e i tagli compositivi, i calibratissimi rapporti tra pieni e vuoti nascono dalla meditazione quotidiana sull’immagine antica.

Le scene dipinte di Miriam Prato ci invitano così a una passeggiata intellettuale, circondati dalla storia dell’incisione rinascimentale e moderna; ci accolgono in una sorta di città virtuale (soggetto tra i più frequentati dalla pittrice) dove ci confrontiamo con il passato, ne esorcizziamo la distanza e ce ne appropriamo nuovamente, ridisegnandone il valore metaforico, alla luce della complessità del nostro presente.