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MORANDI 1890-1964 la grande mostra a Palazzo Reale

 di Cristina T. Chiochia

Gli occhi aperti sul mondo. Come una porta aperta spalancata la mostra sulla pittura di Morandi. Dal 5 ottobre fino al 4 febbraio 2024 a Palazzo Reale  a Milano è stata aperta  al pubblico una mostra che va oltre la mostra: Morandi 1890 – 1964 a cura di Maria Cristina Bandera è un capolavoro.

Non solo per la qualità delle opere ma anche per l’accurata ricerca ed il loro accostamento, alcune addirittura cronologiche ed esposte una di seguito all’altra. Perché il visitatore potrà ammirare non solo il modus operandi del pittore, ma anche la sua evoluzione stilistica nel tempo.

Un piccolo capolavoro di ricerca e cura. Di passione e di ideazione. Un piccolo capolavoro realizzato su un pittore bolognese molto amato ma anche complesso. E per molti versi questa mostra segna un punto di partenza ideale per comprenderlo a tutto tondo, essendo una delle più importanti e complete retrospettive mai realizzate.

Milano a Palazzo Reale, nel suo piano nobile, insomma ospita 120 capolavori provenienti da ogni dove con un allestimento ben curato e realizzato per mettere in risalto la produzione del pittore, in particolare appunto degli ultimi decenni in cinquant’anni di attività.

Con questa nota di continuità che non potrà non essere notata dai visitatori , la mostra segue il filo ideale di altre retrospettive, in particolari internazionali sempre curare dalla stessa curatrice, tra cui Mosca, Bilbao e New York.

Ma perché Milano? Per il forte legame che il pittore ebbe con la città, come infatti recita il comunicato stampa: erano infatti lombardi o vivevano a Milano i primi grandi collezionisti di Morandi come Vitali, Feroldi, Scheiwiller, Valdameri, De Angeli, Jesi, Jucker, Boschi Di Stefano, Vismara – parte delle cui raccolte furono donate alla città, e milanese era la Galleria del Milione, con la quale il pittore intrattenne un rapporto privilegiato”. Ma sono appunto gli accostamenti dei quadri a colpire. Fino ai quadri dell’ultima sala, che spostano l’attenzione allo studio del pittore. E con due opere su ci che vedeva da casa sua, fa immaginare un mondo , fatto di grandi e di piccole cose, come una porta spalancata.

Giorgio Morandi nel suo studio, fotografato da Herbert List
1953
© International Center of Photography/Magnum Photo




L’arte come piacere di sentirsi a casa

di Cristina T. Chiochia

Con la mostra L’Ode al Piatto (30 novembre – 24 dicembre 2022) , lo storico Studio Bolzani di Milano, gioiello di Angelo Bolzani che quest’anno celebra il proprio centenario dalla fondazione con una serie di iniziative nel passaggio pedonale di Via Durini (la Galleria Strasburgo, proprio dietro a San Babila), ha offerto durante il periodo di Natale al suo pubblico, un concetto di arte come piacere, in questo caso quello di sentirsi a casa.
E lo ha fatto con una mostra su un oggetto apparentemente semplice: il piatto, appunto, presente in tutte le case.
Una mostra di piatti che, come recita il comunicato stampa sono “realizzati dai più conosciuti e rinomati artisti del ‘900. Le ceramiche presentate, saranno piu di quaranta. I campi di grano di Mario Schifano, i cavalli di Aligi Sassu, le ricche composizioni di Michele Cascella, i volti aggraziati di Ernesto Treccani, le geometrie di Arnaldo Pomodoro, i doppi profili di Remo Brindisi, i paesaggi di Carlo Mattioli, le figure cubiste di Ibrahim Kodra, sono solo alcune delle firme storicizzate che saranno esposte in mostra“. Durante il periodo natalizio insomma, la galleria ha offerto uno sguardo inedito sul “food” visto però non dando importanza al contenuto dei piatti, ma i piatti stessi. Perchè, in fondo, l’uomo è ciò che mangia. Perché non riflettere sull’uomo attraverso le emozioni che suscitano dei piatti proprio in questo periodo di festa? Inoltre tutti d’Autore.
Un viaggio, quello nel secondo piano della galleria dove erano presenti anche molti altri capolavori volutamente in ordine scomposto ma in continuo dialogo con le pareti, dove l’ alimentazione del cibo fisico è connessa all’evocazione della vita emotiva del piatto dipinto e che assume un significato estetico di arte, ma di esplicito richiamo alla “conditio sine qua non ” dove le opere evocano la sensibilità degli artisti.
L’uomo è ciò che mangia.  Ed ecco come una sorta di ritratti, i piatti dipinti come prospettive dell’anima nei diversi aspetti psicologici come quello di Bruno Cassinari che in una ceramica policroma (“prova d’autore”), oppure quello di  Franco Gentilini con il suo “Volto femminile. Piatto che puo’ essere anche in dialogo con quello che puo’ contenere, come aspetto fisiologico, come quello di Saverio Terruso (Pezzo unico) dove la rappresentazione di un piatto di pesci diventa moto accellerato sulla superficie dei colori.
Un viaggio nella “affettività” di un piatto tra abbuffate e trasgressioni umane, ma anche nell’intimità affettiva, religiosa e culturale della società che esprime, come quello di Salvatore Fiume con un nudo di donna ammiccante, o da contro, quello profondamente spirituale di Franco Rognoni.
Concludendo la mostra ha offerto un modo inedito per allontanarsi dalla percezione del piacere fisico del cibo (che un piatto ovviamente può contenere), per immergersi in quello del proprio mondo interiore Un ascolto di sé intenso, che avviene attraverso l’arte dove il concetto di “appetito”, permette agli artisti in mostra di dialogare tra di loro, quasi alla ricerca di un linguaggio nuovo per merito della superficie della ceramica del piatto.
Una mostra che è un’ode al bisogno d’amore, alla ricerca del proprio anestetico naturale, l’arte. Proprio perchè grazie all’arte, avviene spesso il miracolo: eliminare la sofferenza e la profonda insoddisfazione di vivere questi tempi tanto difficili e confusi.
Una scorciatoia? Forse. Ma la bella mostra “Ode al Piatto”  nutre di bellezza estetica in concetto di desiderio e di piacere associato al cibo e lo pone in relazione al piatto, ovvero ciò che da sempre lo contiene, lo accoglie per essere poi gustato. Piatti artistici che sono veri capolavori in ceramica di grandi autori italiani che dipingono sulla superficie del piatto, che diventa accogliente non solo di colori ma anche di arte, in totale equilibrio espressivo, ed in continuo dialogo tra di loro. Arte come piacere. Quello di sentirsi accolti ed “a casa”.



Il miniaturista Bosch e la possibilità di un altro Rinascimento

di Cristina T. Chiochia

A Palazzo Reale di Milano è stata inaugurata il 9 novembre la grande mostra Bosch e un altro Rinascimento, promossa dal Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale e Castello Sforzesco, e realizzata da 24 ORE Cultura. La mostra è stata curata da Bernard Aikema, Fernando Checa Cremades, e Claudio Salsi e basta sfogliarne il catalogo per vedere che l’intento è appunto quello di testimoniare questo grande lavoro a tre mani, che è stato fatto con molta passione e dedizione sia di ricerca che ti valutazione e monitoraggio. Un catalogo che offre anche spinti insomma su quale sia il significato dell’aver realizzato una mostra del genere, in tutta la sua interezza proprio a Milano per la prima volta e sotto la direzione artistica di Palazzo Reale e Castello Sforzesco, per rendere omaggio al grande genio fiammingo e alla sua “fortuna”, sia per rimandi che per spefici riferimenti, nell’Europa meridionale ed in tutto il mondo.

In un mondo dove non esisteva la distinzione tra arti minori ed arti maggiori, il lavoro di Bosch concentrato nella prima sala , evidenzia come questa distinzione successiva, ai suoi tempi, non esistesse. E che ogni riferimento al suo mondo fatto di miniature, diventi nelle dimensioni grandi di una pala o di un quadro, analogamente slancio per aggiungere e mai togliere qualcosa alla sintesi perfetta del disegno, che, strato dopo strato di colore, diventa forma da assecondare, svolgere, avvolgere con colori e la magia del senso grafico, quasi fumettistico, della sua arte. Bosch insomma come miniaturista “in grande”.

Copiato ed ammirato. Spesso in un mondo onirico e variegato tanto amato dai surrealisti che lo riscoprirono, svolto in modo inedito e dal respiro europeo, in particolare grazie allo stato portoghese e la città di Bruges.

Come recita il comunicato stampa: “l’esposizione di Palazzo Reale non è una monografica convenzionale, ma mette in dialogo capolavori tradizionalmente attribuiti al Maestro con importanti opere di altri maestri fiamminghi, italiani e spagnoli, in un confronto che ha l’intento di spiegare al visitatore quanto l’‘altro’ Rinascimento – non solo italiano e non solo boschiano – negli anni coevi o immediatamente successivi influenzerà grandi artisti come Tiziano, Raffaello, Gerolamo Savoldo, Dosso Dossi, El Greco e molti altri“. Da segnalare poi che  proprio grazie alla collaborazione tra istituzioni italiane, in particolare dell’Ambasciata d’Italia in Portogallo, ma anche dell’Istituto Italiano di Cultura di Lisbona con il Museu Nacional de Arte Antiga, a  Milano e nella mostra di Palazzo Reale è cosi possibile ammirare il famoso “Trittico delle Tentazioni di Sant’Antonio”, opera che difficilmente prima ha lasciato il Portogallo e in Italia per la prima volta in assoluto.

Da Bruges, poi , il celebre “il Trittico del Giudizio Finale” (che originariamente faceva parte della collezione del cardinale veneziano Marino Grimani).
Ma anche altri prestiti europei tra cui quelli  del Museo del Prado  e delle  Gallerie dell’Accademia di Venezia.
Una mostra su Bosch che a distanza di secoli, celebra il celebre miniaturista come pittore di grandi opere dal linguaggio inedito e fantastico, che ha ispirato mondi artistici, ta cui la scultura e che ha lasciato eredi in tutto il mondo.

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Da segnalare anche il prestito di Fondazione Pisa Musei a cui è dedicata addirittura una parete della mostra quando nella sua collocazione pisana è in un anonimo corridoio, nel camminamento verso le mostre temporanee dell’atrio: una creatura mostruosa, femminile, nuda, forse una arpia attribuita ad un allievo di Michelangelo Buonarroti e che originariamente come segnala il catalogo della mostra era presso Palazzo Lanfranchi, forse parte di una fontana. Una donna che si proietta in avanti, con drammaticità e durezza. Una scultura forse concepita per sorprendere, chissà e che lo stesso Pandolfo Titi, autore di una guida settecentesca pisana, colloca nel giardino del Palazzo Lanfranchi come una figura “accovacciata, su un rospo gigantesco” così ben fatta, e tanto al naturale che una, e l’altra paiono vive”. Come appunto gli animali fantastici di Bosh, onirici e magici.



Al cinema la vita di Munch tra amori, fantasmi e donne vampiro

di Cristina T. Chiochia

La sofferenza della vita. La vita che si modella alla umanità. Una vita a cui non volere bene. Ma da testimoniare. Attraverso la pittura. Lo stigma del senso della immoralità e della moralità attraverso la frustrazione “perbenista” in una città chiamata ancora Kristiania e non Oslo. Un vero percorso emozionale il nuovo film di Nexo, il secondo sulla serie sull’arte per quest’anno, in questi giorni al cinema, sul talento ed il genio di Munch.
Dal titolo Munch, amori fantasmi e donne vampiro – elenco dei cinema sul sito ufficiale – tutto quello che di possibile ed immaginabile sul mondo di riferimento di questo pittore, c’è.
Dalle prime esperienze artistiche, al senso che queste esperienze in una città nuova, hanno per Edvard Munch uno dei più grandi artisti del primo Novecento, precursore dell’espressionismo, una immagine nuova ed inedita della sua storia artistica ad un anno esatto dalla creazione del museo cittadino per lui, ad Oslo.
Il film, che è anche una mappatura di comunità attraverso la descrizione fedele di quello che è stato il fenomeno dei Kristiania-bohemen  a Oslo, che è stato non solo un movimento politico ma anche culturale norvegese sin dal1880.
Proprio nella città di Kristiania, l’odierna Oslo appunto, avvenne tutto.
Circa 20 uomini e alcune donne, che si associarono liberamente in stimoli e forme del tutto nuove per i tempi verso un nuovo modo di intendere il mondo e la cultura.
Gli spettatori al cinema dal 7 al 9 novembre 2022 avranno cosi la possibilità di vedere, sul grande schermo quello che il film  Munch, amori fantasmi e donne vampiro,   significa: non solo un documentario  prodotto da 3D Produzioni e Nexo Digital, ma un vero e proprio , un docufilm appunto dove il pittore Munch testimonia i sui amori, reali o possibili o tormentati, fantasmi  di ogni forma e misura e donne vampiro, come le immagini della sua pittura. Un film diretto da Michele Mally che firma la sceneggiatura con Arianna Marelli e che si  è impegnato a gettare come recita il comunicato stampa: “nuova luce su Edvard Munch, un uomo dal fascino profondo e misterioso, un precursore e un maestro per tutti coloro che vennero dopo di lui [….], non esiste al mondo pittore più celebre, eppure meno conosciuto di Edvard Munch. Se il suo Urlo è diventato un’icona dei nostri tempi, il resto della sua produzione non è altrettanto famoso. Ora invece Oslo, l’antica Kristiania, segna una svolta per la conoscenza dell’artista: il nuovo museo MUNCH – inaugurato nell’ottobre 2021 – è uno spettacolare grattacielo sul fiordo della capitale norvegese, pensato per ospitare l’immenso lascito del pittore alla sua città: 28.000 opere d’arte tra cui dipinti, stampe, disegni, quaderni di appunti, schizzi, fotografie ed esperimenti cinematografici. Tutto questo straordinario patrimonio ci offre una visione d’eccezione della mente, delle passioni e dell’arte di questo genio del Nord”. Da vedere al cinema e, perché no, visitare il nuovo museo nella sua patria natale.



Il Pop di Andy Warhol a Milano

di Cristina T. Chiochia

Arriva il “Pop” a Milano. Torna l’arte popolare della vera Popular Art, quella di Andy Warhol nella sua accezione più bella: quella della forma. Non a caso infatti la mostra presso la Fabbrica del Vapore di Milano si intitola appunto ” Andy Warhol: la pubblicità della forma”. Un evento singolare per il pubblico milanese che troverà l’essenza di ciò che “pop” significa: ovvero qualcosa, un oggetto nella fattispecie, che viene prodotta in serie e quindi non per una persona, ma per tutti.

Pop ovunque quindi nelle diverse aree tematiche della mstra, ben sette, con ben 13 sezioni.Come recita il comunicato stampa: “con oltre trecento opere divise in sette aree tematiche e tredici sezioni – dagli inizi negli anni Cinquanta come illustratore commerciale sino all’ultimo decennio di attività negli anni Ottanta connotato dal rapporto con il sacro –  la spettacolare mostra Andy Warhol. La pubblicità della forma è promossa e prodotta da Comune di Milano–Cultura e Navigare, curata da Achille Bonito Oliva con Edoardo Falcioni per Art Motors, Partner BMW.

Aperta dal 22 ottobre 2022 sino al 26 marzo 2023 a Milano alla Fabbrica del Vapore, è un viaggio nell’universo artistico e umano di uno degli artisti che hanno maggiormente innovato la storia dell’arte mondiale”.

Un modo unico per scoprire Warhol ed il suo mondo, tanto che il curatore della mostra Bonito Olive, lo definisce ” il Raffaello della società di massa americana che dà superficie ad ogni profondità dell’immagine rendendola in tal modo immediatamente fruibile, pronta al consumo come ogni prodotto che affolla il nostro vivere quotidiano. In tal modo sviluppa un’inedita classicità nella sua trasformazione estetica. Così la pubblicità della forma crea l’epifania, cioè l’apparizione, dell’immagine”.

Basta soffermarsi nelle sale per percepire l’incanto dell’immagine pop come essenza delle cose. E questo vale per tutte le sezioni. Merito di questa possibilità più unica che rara, la passione di Eugenio Falcioni altro curatore della mostra e  fondatore di EF ARTE e che al suo attivo mostre di Mimmo Rotella e altri esponenti del Nouveau Réalisme per diventare poi un vero esperto sull’opera di Andy Warhol.

Infatti, come aggiunge il comunicato stampa : “Responsabile di Art Motors oltre che tra i principali collezionisti e prestatori è Eugenio Falcioni, tra i massimi esperti di Andy Warhol. Dopo il successo della Mostra di Roma nel 2018 al Complesso del Vittoriano, oggi Falcioni vuole omaggiare la sua città adottiva Milano con una esposizione esaustiva, per la maggior parte di opere uniche. Molte provenienti dall’Estate Andy Warhol, due di Keith Haring e di altre prestigiose collezioni private”.

Un modo per scoprire l’arte pop in mille sfaccettature insomma e davvero molto attuale: motori, donne e …polaroid, come parenti prossimi di instagram.

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Sono infatti le sue istantaneee di vita a colpire di questa mostra vera e propria “pubblicità della forma”, allora come ora, attraverso l’immediatezza delle immagini e forse, chissà per questo così attuale. E’ in particolare questa sezione della mostra a colpire le polaroid di Warhol infatti sono in mostra come archivi viventi, come pagine di instagram provenienti dal passato. Grazie anche a quello sviluppo immedito che fecero della Folding PAck, in mostra anch’essa, una vera icona, ecco che l’elemento centrale è appunto la notorietà. L’essere protagonisti, anche se solo di uno scatto di una polaroid, ma subito visibile, grazie allo sviluppo immediato. Dai celebri scatti di dopo-pranzi dove gli ospiti in trucco e parrucco, venivano immortalati contro un muro, agli scatti come “diari visivi” con persone celebri e non. Sia che si trattasse di moda o autorittratti, da personaggi celebri o solo “istragrammabili” come si direbbe oggi, i quadri di polaroid di Warhol meriterebbero da soli una visita alla mostra. Per immergersi in quel senso di appartenenza “pop” che, in fondo, non si è mai abbandonato.

foto di Giovanni Daniotti




Una mostra giovane per l’Art Forum Wurth Capena

di Cristina T. Chiochia
La mostra “NAMIBIA. Arte di una giovane generazione nella Collezione Würth”  arriva a Capena, all’Art Forum Würth dal 24 ottobre 2022 – 14 ottobre 2023 dopo essere stata presentata nel 2016 al Museo Würth di Künzelsau, ben 80 opere di 33 artisti contemporanei che vivono e lavorano in Namibia. Un modo per descrivere un’itnera arte di una generazione artistica che cerca nella ricerca di nuove tematiche e modalità espressive un modo per esplorare i profondi cambiamenti in atto. Un modo per realizzare con gli artisti:  Elago Akwaake, Lukas Amakali, Petrus Amuthenu, Barbara Böhlke, Margaret Courtney-Clarke, Linda Esbach, Gisela Farrel, Elvis Garoeb, Beate Hamalwa, Martha Haufiku, Ilovu Homateni, Saima Iita, John Kalunda, Lok Kandjengo, Filemon Kapolo, Isabel Katjavivi, Paul Kiddo, David Linus, Nicky Marais, Othilia Mungoba, Alpheus Mvula, Peter Mwahalukange, Frans Nambinga, François de Necker, Saara Nekomba, Urte R. Remmert, Fillipus Sheehama, Findano Shikonda, Papa Ndasuunje Shikongeni, Ismael Shivute, Elia Shiwoohamba, Tity Kalala Tshilumba, Salinde Willem un passo importante sul concetto di spiritualità e senso della vita rurale. Rito di passaggio tra passato presente e futuro che si prefiggono di mostrare come  recita il comunicato stampa: anche  “l’emergere di nuove problematiche come il consumo eccessivo (Fillipus Sheehama, Ismael Shivute), la disuguaglianza sociale (Petrus Amuthenu, Ilovu Homateni) e il problema della comunicazione (Urte R. Remmert). Combattuti tra il ricordo del loro patrimonio culturale e la realtà sociale, politica ed economica odierna, gli artisti namibiani contemporanei restituiscono una visione eterogenea del loro paese”. Non solo pittura arte, disegno e fotografia ma anche la forma espressiva tradizionale del quilting ovvero l’arte delle trapunte.
L’arte della trapunta e del riciclo sono infatti un punto di partenza importante per la mostra, come le tecniche su linoleum e su cartone. Generazioni a confronto. Sintesi di cosa è la Namibia oggi.
Capena insomma, vicino a Roma, diventa “caput mundi ” di un nuovo senso di appartenenza.
Un modo per essere e sentirsi vivi.
Tra un prima e un dopo e, chissà, un “forse” possibile.  Una mostra giovane, attenta
Basta aspettare.



Arte e spiagge a Cagliari e dintorni

In questi giorni la Sardegna è un sogno che, per molti, diventa realtà. E visto che spesso l’approdo è Cagliari, raggiungibile dai principali scali della terraferma, perché non lasciarsi tentare per trascorrere qualche giorno in questa città di mare immergendosi a sua atmosfera vivace e nella sua storia secolare? Qui, oltre alla Marina e ai sei chilometri di spiaggia cittadina del Poetto costellati  dai tanti chioschi di pesce, i tesori archeologici da esplorare nei dintorni sono numerosi, così come gli scenari mozzafiato che si incontrano non appena usciti dal centro urbano, magari inoltrandosi lungo la litoranea che si dirige verso Villasimius tra macchia mediterranea, calette nascoste e mare di tutte le tonalità dell’azzurro: dall’acqua marina al blu zaffiro.

Il posto migliore per godersi lo scenario sul questa “città nuda che si alza ripida, alta e dorata” come “un gioiello di ambra che si apre all’improvviso” secondo le parole di D.H. Lawrence, è il Bastione di Saint Remy prima di perdersi, in un continuo saliscendi, tra i quartieri storici del centro, le due torri pisane del 14° secolo, Piazza Palazzo e la cattedrale di Santa Maria Assunta e di Santa Cecilia.

Tappa obbligata per scoprire le tradizioni enogastronomiche dell’isola sono le bancarelle del mercato di San Benedetto o i chioschi di Su Siccu dove assaggiare, in stagione, i ricci di mare, mentre alla Stella Marina di Montecristo, storico ristorante amato da Gigi Riva, è piacevole affidarsi ai titolari lasciandosi guidare tra cannolicchi, capesante e pescato del giorno, da Sabores infine si acquistano le eccellenze artigianali del territorio da riportare sulla.terraferma per gustarsi un pezzetto di Sardegna anche una volta rientrati alla quotidianità.

Da non perdere il museo archeologico nazionale in cui sono custodite le statue dei Giganti di Mont’e Prama a Cabras, un esercito in pietra di guerrieri, arcieri e pugilatori risalenti a oltre tremila anni fa emersi nella necropoli nuragica. A Barumini, a un’ora di macchina da Cagliari, si può poi visitare il nuraghe Su Nuraxi, riconosciuto patrimonio mondiale dell’umanità dall’Unesco nel 1997, approfondendo i misteri della civiltà nuragica che alcuni studiosi, a iniziare da Sergio Frau, ritengono possa essere all’origine del mito di Atlantide.

Cagliari è l’avamposto ideale anche per viaggiare nella parte più selvaggia della Sardegna: la costa che va da Punta Molentis a Porto Sa Ruxi, un paradiso caraibico bagnato dal Mediterraneo preservato dall’urbanizzazione da scoprire a piedi, in bici, a cavallo o, meglio ancora, via mare.  Qui, nell’area marina protetta di Capo Carbonara e dintorni, le calette nascoste e le lunghe spiagge di sabbia bianca fine come la cipria si tuffano in un mare cristallino dalle tonalità cangianti dal turchese al verde smeraldo, protette da torri costiere di avvistamento spesso sorte sulle rovine di antichi nuraghi. Un giro a bordo di una goletta o di una barca a vela, permette di scoprire fondali suggestivi, relitti di ogni epoca arenatesi nelle secche e la Madonna del Naufrago di Pinuccio Sciola adagiata dal 1979 sui fondali dei Cavoli a protezione dei naviganti e celebrata, ogni anno a fine luglio, con una processione a mare e una festa che coinvolge i borghi della costa. Cala Caterina, Cala Santo Stefano e Cava Usai sono considerati acquari naturali dove si nuota tra pesci colorati. Con una buona dose di fortuna all’alba e al tramonto si possono avvistare anche delfini e tartarughe a Sud dell’Isola di Serpentara.

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A Is Piscadeddus  si riposa tra le dune, nascosti all’ombra di uno dei ginepri secolari che si affacciano sulla spiaggia, mentre a Campulongu canneti e macchia si spalancano su un lungo arenile sabbioso. Mare e archeologia si sposano a Cuccureddus con il suo sito fenicio prima e romano poi e anche  a is Traias, a breve distanza dalla necropoli di Accu is Traias. Porto Giunco è infine un set cinematografico naturale grazie alla lunga lingua di spiaggia bianca con sfumature di rosa opalino che divide il Mediteranno dallo stagno di Notteri dove svernano i fenicotteri rosa. Da qui superati i piccoli promontori che affiorano dal mare, si prosegue verso Timi Ama, dove il vento e le onde del hanno modellato gli scogli in morbide e voluttuose forme e verso Simius, la spiaggia cittadina di Villasimius che, con i suoi fondali bassi, è ideale per le famiglie. I colori del tramonto diventano infine  incandescenti sulla spiaggia bianca e sulle rocce granitiche di Is Molentis.

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Meo Fusciuni: i profumi che parlano al cuore

di Claudia Marchini – “Quando annuso il profumo che sto creando e piango, allora capisco che è pronto”.

Così risponde alla mia domanda sui tempi di creazione di una fragranza artistica Meo Fusciuni (all’anagrafe Giuseppe Imprezzabile, ma ormai nemmeno sua madre lo chiama più Giuseppe), uno dei più originali e potenti creatori di profumi in Italia.

E pensare che prima del 2010 mai avrebbe pensato che questo sarebbe diventato il suo prossimo lavoro…dopo gli studi di chimica industriale, Meo ha iniziato infatti a lavorare nel campo dell’aromaterapia e della fitoterapia, ambiti che gli procuravano anche molte soddisfazioni. Perciò, quando una sua amica – quasi per scherzo, ma non troppo – gli ha buttato lì la fatidica domanda: “Ma perché non crei profumi”?, ne è rimasto molto stupito. Anche perché non aveva una particolare passione per i profumi, né tantomeno conosceva il mondo della profumeria di nicchia. Fino a quel viaggio ad Istanbul. 

Lì, tra il turbinio di voci del gran bazar e la cacofonia di spezie, tra il profumo delle stoffe preziose e i fumi dell’incenso, l’erborista ha lasciato il posto al profumiere. Tutti noi viviamo ad un certo punto della nostra vita un rito di passaggio, e per Meo quel viaggio nella capitale dei tre imperi rappresenta il momento in cui ha lasciato la via della “pianta medica” per intraprendere un nuovo cammino. La sua prima creazione si chiama infatti 1# nota di viaggio (Rites de passage) ed è dedicata a questo viaggio e questa città.

Il progetto Meo Fusciuni nasce proprio con lo scopo di raccontare viaggi, pensieri, emozioni, sensazioni, attraverso una complessa ricerca olfattiva e la creazione di profumi unici, 100% Made in Italy, e utilizzando materie prime di altissima qualità.

La collezione è composta al momento da 12 fragranze (la tredicesima è in dirittura d’arrivo), divise in Trilogie e Cicli. Le Trilogie parlano di viaggi “veri”, luoghi fisici, mentre i Cicli rappresentano viaggi mentali. 

La prima trilogia (Rites de passage, Shukran, Ciavuru d’amuri) parla di 3 paesi che hanno significato molto per Meo: di Istanbul abbiamo già parlato; la seconda nota di viaggio è invece dedicata al Marocco e alla bevanda che meglio rappresenta lo spirito gioioso ed energico del paese, il tè alla menta; e infine la terza nota di viaggio – uno stupendo fico – ci porta nella sicilia della sua infanzia.

Il Primo Ciclo (della Poesia), racconta la ricerca interiore del profumiere: Notturno, con le sue note di Rum e Inchiostro, ci trasporta in stanze vere ed immaginarie, dentro ad un tunnel di bellezza e poesia; mentre Luce grida il desiderio di trovare un equilibrio tra natura e uomo, illuminando la via con note di Betulla, Abete, Cedro e Tabacco.

La Trilogia della Mistica (Narcotico, Odor 93 e L’oblio) è ispirata a 3 luoghi veri (Palermo, la Danimarca, la Cambogia) che hanno una forte componente mistica per Meo, che ha voluto con essi raccontarci dei vecchi cassetti polverosi della casa di famiglia a Palermo; oppure di un fiabesco bosco del nord Europa da cui si esce chiedendosi se fosse tutto vero oppure un sogno; e ancora del potere della dimenticanza e della nostra ricerca della salvezza che essa ci può portare.

Il Secondo Ciclo (della Metamorfosi), è dedicato alla solitudine, attraverso due differenti riflessioni sulla libertà dell’anima. Con Little Song Meo riesce a raccontare perfettamente il profumo del tempo che passa: una tazzina di caffè lasciata sul tavolo da lavoro, una sigaretta ormai consumata, e un mazzo di rose tenuto in mano…Un profumo stupendo e melanconico, commovente fino alle lacrime. Spirito è invece dedicato ad Emily Dickinson: immaginiamo le pianure del Massachusetts dove la poetessa amava camminare, in un tripudio di Camomilla, Angelica, Semi di Carota, Cipresso, Lavanda. Lì, dove uomo e natura, spirito e poesia si fondono.

Ed eccoci infine all’ultima Trilogia di Viaggio, la Trilogia senza Tempo, dedicata all’attuale “ossessione” di Meo Fusciuni: l’Asia. Si parte dal colpo al cuore e allo stomaco di Varanasi, città simbolo dell’India, ricca di contrasti e significati, magia e mistica. Oud, Cuoio, Zafferano, Cardamomo, Rose e Gelsomini ci trasportano in un vortice di emozioni; un profumo magnetico, animalico, per palati forti dall’animo gentile.

Il secondo profumo della trilogia, Encore du temps, è dedicato al Laos e all’amore (la sua Federica – si illumina tutto quando ne parla, Meo); è un fiore che cade in una tazza di tè verde, la dolcezza del tempo che scorre lento e la voglia che quel tempo si dilati per sempre, per poter stare ancora e sempre di più con la persona amata.

In attesa della terza fragranza, che sarà ispirata dal Giappone, vi invitiamo a scrivere a info@meofusciuni.com per conoscere il punto vendita più vicino a voi. Noi siamo andati alla Profumeria La Nicchia di Legnano!

“Il profumo è un’anima che disegna la nostra ombra”

Meo Fusciuni




La croce del Giubileo: Borromini dialoga con Lady Be

Lady Be reinterpreta l’opera di Francesco Borromini, un’importante opera del 1625, eseguita dal mosaicista Giovan Battista Calandra, La Croce fu realizzata su commissione di Papa Urbano VIII Barberini, come sigillo della porta santa dopo il Giubileo del 1625.

Quando Innocenzo X Pamphilij riaprì la porta santa per il suo giubileo, nel 1649, ruppe simbolicamente il sigillo e ne fece dono al cardinale nipote (nipote di donna Olimpia, Francesco Maidalchini), e per questa via il piccolo mosaico venne riposizionato sullo stipite della porta della chiesa, che era divenuta la cappella privata dell’adiacente giardino di donna Olimpia in Trastevere.

Il 4 Settembre verrà presentata a Roma in località Trastevere, nella Chiesa di Santa Maria in Cappella, è l’opera più recente della eco-artista Lady Be; l’ultima perla realizzata per un progetto esclusivo realizzato per l’evento “Di là dal fiume”, giunto alla quarta edizione.

L’opera rappresenta una croce ed è la reinterpretazione del mosaico borrominiano presente nella stessa chiesa, ma con materiali di recupero, ovvero oggetti di plastica di varia provenienza usati in tutte le opere di Lady Be (tappi di bottiglie, involucri, bigiotteria, cancelleria, giocattoli vecchi, tubi, cavi elettrici).

L’opera è sagomata e fedele ai colori originali, che grazie all’utilizzo della plastica risultano brillanti e decisi, la composizione è ben equilibrata. Come nell’opera originale, è presente la fronda d’ulivo simbolo dei Pamphilij, e la particolarità che salta subito all’occhio è la presenza di 5 api (regine) attorno alla croce,  simbolo di laboriosità, purezza, capacità di comando, di orientamento ed abilità nella costruzione dei nidi con celle esagonali, scelte per nobilitare il simbolo della famiglia. Sono presenti in tante altre opere commissionate dai Barberini, tra cui il Baldacchino dell’ altare maggiore di San Pietro.

Lo speciale eco-mosaico, di dimensioni 54 x 88 cm, verrà presentato durante la visita guidata alla Chiesa, in Via Piero Peretti 6  alle ore 11; la visita è su prenotazione obbligatoria ed è necessario esibire il green-pass.

L’evento si svolge nell’ambito del festival curato dall’Associazione Culturale Teatroinscatola, “Di là dal fiume” il cui programma va dal 29 agosto al 5 settembre, ed offre esperienze culturali insolite, gratuite e diffuse in luoghi ogni volta differenti, con particolare attenzione al XII Municipio di Roma.

Musica, incontri, installazioni, proiezioni, presentazioni libri, mostre, fotografia, blitz urbani e biciclettate in undici location, cui si aggiunge quest’anno un programma di visite guidate presso quattro edifici di culto, come la Chiesa a Trastevere in cui si svolge l’esposizione della preziosa opera di Lady Be.

La “sfida” del festival è quella di portare in spazi ordinari eventi di qualità, nell’idea di fondo che il riuso di strade, edifici, piazze e aree della città mediante l’interazione con le arti possa creare inediti luoghi di relazione, dove la fruizione dell’evento da parte dello spettatore è spesso casuale.

Il progetto è congeniale all’idea di Lady Be, che fa del “riuso” il suo punto di forza, ed è ciò che consolida questa collaborazione oltre alla presenza del mosaico.

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Infatti, dal 2019 Lady Be ha cominciato a portare la sua arte in luoghi non espressamente nati per l’arte (ma fruibili liberamente dal pubblico) realizzando maestose esposizioni; dalla sua personale allestita all’Aeroporto di Milano Malpensa (mostra attualmente visitabile) all’esposizione nell’Università di Pavia, alla presenza delle sue opere sostenibili a Fiumicino nell’ambito di un evento organizzato da Disney e Legambiente e nel backstage del Concertone del 1 Maggio a Roma.

L’idea è che l’arte vada verso lo spettatore, abbandonando così gli asettici musei e altre realtà come gallerie d’arte e altri luoghi frequentati soltanto da appassionati d’arte.

Il pubblico di grandi e piccoli da sempre apprezza molto le opere di Lady Be. L’artista porta avanti questa attività da più di 10 anni e lo fa per sostenere il suo importante messaggio per l’ambiente, non sprecare ma trovare risorse e alternative per utilizzare e smaltire correttamente tutti i materiali, in particolare la plastica che è ciò che attualmente provoca più problemi di inquinamento in particolare di mari e oceani, andando a stravolgere l’intero eco-sistema.

Gran parte del materiale che utilizza Lady Be nelle opere proviene infatti dalla raccolta sulle spiagge, altro deriva dalle scuole e da mercatini dell’usato. Gli oggetti vengono consegnati inconsapevolmente dal popolo, e divengono tasselli del suo speciale mosaico.

Nel caso della croce, è possibile vedere diversi pezzi di materiale riconoscibile intero e spezzettato, per riprodurre con minuzia e maestria i diversi dettagli della croce, dalla presenza delle 5 api, al rosone di luce in alto, con sfumature dorate ricercate nei materiali, alle foglie di ulivo con diverse sfumature di verde.

Il mosaico borrominiano, infatti, leggermente minore di dimensioni rispetto all’opera di Lady Be, è un minuzioso lavoro di micro-mosaico, che a detta dei custodi è stato apprezzato moltissimo anche dal critico Vittorio Sgarbi che, avendo a disposizione poco tempo, ha voluto vedere solo quello e ha scattato decine di foto.

Lo stesso critico d’arte che conosce da anni l’arte di Lady Be apprezza molto anche i suoi mosaici, che nelle sue recensioni ha definito “formidabili”; “sorprendenti figurazioni”.

 

Info e prenotazione visita

Tel 340.5573255

Email info@teatroinscatola.it

Sito www.teatroinscatola.it




Mille Parole. La personale di Qiu Yi all’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze

Dal 9 luglio al 9 agosto 2021 ci sarà presso l’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze, sita in Via Ricasoli n.68, la mostra personale di Qiu Yi Mille parole (千字文). Qui si potranno ammirare numerosi inchiostri e installazioni dell’Artista internazionale, anche presidente dell’Associazione di Arte e Cultura Contemporanea Cina e Italia, che promuove l’incontro tra cultura orientale e occidentale.

Qiu Yi è nato in Cina, ma abita ormai da anni a Firenze, che considera la sua seconda casa, lavorando in modo regolare tra Cina e Italia. La sua poetica sta tra tradizione e innovazione. Partendo infatti dall’antica scuola cinese, l’Autore poi giunge ad altre strade, unendo le sue radici con le scoperte fatte in Occidente, questo attraverso una prospettiva originale e personale. In questo senso scrive il curatore dell’esposizione Vittorio Santoianni:

Dai lavori recenti di Qiu Yi, emerge un artista dalla fisionomia multiforme per il background per-sonale e per l’ampiezza dei campi di interesse toccati. Forse la complessità insita nella sua ricerca si può comprendere maggiormente con il ricorso a polarità dialettiche. L’Oriente e l’Occidente sono sia le aree geografiche che i territori culturali e artistici entro i quali si sposta, ricercandone i punti di unione piuttosto che le differenze. Calato nel presente, i suoi ambiti temporali sono il grande passato della Cina e il futuro del mondo. Il suo linguaggio è caratteristico dell’arte contemporanea (le installazioni, le performance), ma ha anche notevoli affinità con la calligrafia e la pittura tradizionali cinesi che, a suo parere, sono suscettibili di un continuo rinnovamento. I suoi materiali prediletti sono quelli della modernità (l’acciaio, il cemento, il plexiglas) e del passato (l’inchiostro di China). In mezzo a queste antinomie, Qiu Yi si muove con disinvoltura e leggerezza per conciliare termini contrastanti solo all’apparenza, raggiungendo nella sua opera un mirabile equilibrio, che è segno dell’armonia quale suprema aspirazione della millenaria e raffinata cultura cinese”.

Sulla mostra si esprime bene Cristina Acidini, la Presidente dell’Accademia delle Arti del Disegno:

Padrone delle tecniche tradizionali cinesi – in primis della raffinatissima pittura-calligrafia a inchiostro su carta – Qiu Yi ne sperimenta la versatilità associando ad essa modalità espressive tipiche di movimenti occidentali quali l’Informale e il Concettualismo. Questa almeno è l’impressione che ricavo dalla serie di inchiostri su carta Mille parole, opera aperta destinata ad accrescersi nel tempo. L’uso magistrale dell’inchiostro sul foglio candido produce sognanti variazioni: la danza, ora lenta ora frenetica, di pennelli che lasciano in certi passaggi dei segni umbratili, quasi profili di nebbie stracciate dai venti, altrove invece strutture di densa e netta oscurità, capaci di suggerire onirici ideogrammi neri. Forme senza tempo, tracciate da una mano antica lungo le linee di un pensiero contemporaneo”.

La mostra sarà visitabile (ingresso libero) da martedì a sabato negli orari: 10.00-13.00 / 17.00-19.00, mentre di domenica sarà possibile accedere solo dalle 10.00 alle 13.00. Il giorno di chiusura è il lunedì.

Durante l’inaugurazione interverranno: Cristina Acidini, Presidente dell’Accademia delle Arti del Disegno, Antonio di Tommaso, Presidente della Classe di Scultura dell’Accademia delle Arti del Disegno, e il curatore Vittorio Santoianni.

Mille parole è organizzata dall’Accademia delle Arti del Disegno, con il Patrocinio di: Regione Toscana, Comune di Firenze, Consolato Generale della Repubblica Popolare Cinese a Firenze, con la collaborazione del Qiu Yi Studio.