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Oasis: Supersonic, dai sobborghi al mito

di Elisa Pedini – Arriva al cinema il 7, 8, 9 novembre, l’atteso film “Oasis: Supersonic” in cui si ripercorre l’ascesa degli Oasis. “Oasis: Supersonic” è diretto da Mat Whitecross, ben noto per aver girato la maggioranza dei videoclip dei Coldplay e film del calibro di “Sex & Drugs & Rock & Roll” su Ian Dury (2010), o “Spike Island” sugli Stone Roses (2012). A mio avviso, nessuno meglio di lui avrebbe potuto realizzare questo docu-film. Pellicola di forte impatto: coraggiosa, coinvolgente, graffiante, “belligerante”, ma anche incoraggiante e sognatrice. Il ritmo serrato e avvincente, con cui le immagini, tutte di repertorio, si susseguono, è proprio quello d’un videoclip. Le interviste, gestite come voci fuori campo, danno veramente l’impressione d’un racconto estemporaneo di vita vissuta. Sembra che i due fratelli parlino, lì, insieme, davanti agli spettatori, quando, in realtà, ad oggi, non si parlano più.

Il risultato di “Oasis: Supersonic” è qualcosa di spettacolare: due ore piacevoli ed emotivamente molto impattanti, che scorrono con grande fluidità. Uno specchio chiaro della vita, della storia e delle personalità dei due protagonisti: i fratelli Liam e Noel Gallagher, che hanno dato vita a un vero e proprio miracolo musicale: gli Oasis.

In soli tre anni sono arrivati a dominare totalmente le scene musicali, senza concorrenti, poi, la rottura. «Tutto troppo in fretta» dicono. Bellissimo, anche, il paragone che fanno tra il successo e una macchina da corsa potente: entrambi belli da vedere, belli da guidare, ma se non si sa gestirli, il rischio d’andare troppo veloci e perdere il controllo, è altamente probabile. La giovane età, il successo repentino e le pressioni pesanti dell’industria discografica, portano al collasso il già altalenante rapporto tra Liam e Noel. I fratelli Gallagher, tre in tutto, crescono nella realtà povera e desolante dei quartieri popolari della periferia di Manchester, con un padre assente e molto violento e una madre che deve fare tre lavori per sbarcare il lunario. È una vita difficile, una vita dura, soprattutto, quando si è piccoli e molte cose non si è in grado di spiegarsele. La violenza, poi, non ha mai una spiegazione, né una giustificazione. Mentre le botte svuotano l’anima, la rabbia la riempie. Da qui, da questa realtà, apparentemente senza scampo, Noel trova la sua evasione nella musica; Liam, il più piccolo, stenta a trovare un vero interesse e sarà una martellata in testa, racconta egli stesso, a fargli scoprire la sua passione per la musica e la successiva epiphany sarà un concerto degli Stone Roses a Manchester.

Veramente toccante e vivido il racconto delle loro vite, dalla viva voce dei due protagonisti e delle persone a loro vicine in quei momenti. Le emozioni scatenate sono vere e proprie “bombe”, che fanno accapponare la pelle. Due talenti innati e due leader naturali di altissima caratura, ma di personalità, totalmente, opposte. Un “gatto” e un “cane”, si descrivono. Da cui, le litigate, le rivalità.

Lascio a voi la sorpresa di scoprirle in modo approfondito, mentre salto direttamente a quell’aprile del 1994, quando, col singolo “Supersonic”, la band indie, proveniente dai sobborghi di Manchester, s’impone all’attenzione del panorama musicale. Sono solo esordienti, ma, nell’agosto del medesimo anno, il loro album “Definitely Maybe”, scala le classifiche e vince sette dischi di platino con oltre due milioni di copie vendute. Il titolo è un ossimoro, come i due fratelli Gallagher, direi. Dopo tanto tempo di lavoro durissimo e di gavetta nell’oscurità, finalmente, la svolta e diventano giganti della musica. Sta accadendo qualcosa di biblico, qualcosa di “supersonico”, destinato a cambiare, completamente, il panorama musicale e la vita di Liam e Noel.

Nell’agosto del 1996, gli Oasis, sono i protagonisti indiscussi della scena musicale mondiale. Hanno, letteralmente, dato vita a una realtà unica e mai vista prima, né dopo, vien da dire. I loro concerti a Knebworth raccolgono un pubblico di 250000 persone e con altri due milioni e mezzo di fans alla ricerca disperata di biglietti. Un evento storico, anzi, mitico. Per chi, come me, viveva in quel periodo i suoi vent’anni, non può non sentirsi compartecipe di quanto vede sul grande schermo e non solo, perché, oggettivamente, è un film straordinario, ma anche, per la forte carica empatica. Le emozioni suscitate dal film, si fondono e si confondono con i ricordi personali, che, sulle note delle canzoni e sulla voce, roca e graffiante, di Liam, si dipanano nella mente come un secondo, privatissimo, film. Inutile, sottolineare l’impatto interiore che, ovviamente, fa venire i lucciconi agli occhi.

Alla fine della proiezione, la sala esplode in un applauso che stenta a fermarsi. L’emozione è davvero tangibile. “Oasis: Supersonic” è un film da gustare dall’inizio alla fine. Una pellicola che, all’inizio, ho definito, anche, incoraggiante e sognatrice, perché, in questo mondo dominato dai social e dal business, di scene come quelle che vedrete nel film, non se ne vedono più. Di visionari folli e spericolati, non ce ne sono più. Questo film vuole essere, per un verso, un incoraggiamento per le nuove band di giovani a credere nei loro sogni, risvegliare la passione e saper, anche, rischiare per essa; per l’altro, un monito a prestare attenzione a non perdere il controllo e a non permettere all’industria musicale di limitare i propri orizzonti.