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“ESCOBAR” – UNA STORIA INTENSA AD ALTA TENSIONE

di Elisa Pedini – Esce domani, 25 agosto, nelle sale italiane il film “Escobar”, per la regia e sceneggiatura di Andrea Di Stefano. Pellicola decisamente intrigante, potente, intensa. Assolutamente, da non perdere. Il regista, al suo esordio sul grande schermo, ci regala un vero capolavoro. Personalmente ha raccolto il materiale su Pablo Escobar, figura estremamente peculiare della scena del crimine organizzato. Nessuno come lui è stato amato e odiato, venerato e temuto. Un film che tiene lo spettatore incollato alla sedia per due ore, senza che neppure se ne accorga. Ogni aspetto è curato. Ogni situazione narrata, perfettamente calibrata. Nessuna scena inutile. Nessuna lungaggine. Tutto è necessario e l’attenzione non cala mai. La tensione è palpabile e presente sin dalla prima scena del film, senza mai trascendere né nella violenza gratuita, né in scene, tanto sperticate quanto improbabili. Una regia, a parer mio, magistrale, che si gioca sull’introspezione psicologica e sugli sguardi, oltre che sull’azione reale. Inquadrature a mezzo primo piano che rapide si spostano in soggettiva, bucando lo schermo. Lo spettatore è negli occhi dei protagonisti e ne prova gli stessi pensieri, le stesse emozioni, la stessa paura. Quando non si ha bisogno d’indulgere in inutili scene di violenza o di sesso, che nulla apportano né alla trama, né allo spettatore, è perché si ha davvero qualcosa da raccontare e soprattutto, perché si sa, veramente, fare regia. Pellicola degna d’encomio. La trama vede due storie parallele dipanarsi attorno a quella principale che è imperniata su Pablo Escobar: quella di Nick e Dylan e quella di Nick e Maria; ma nessuna soverchia l’altra, pur venendo ben sviluppate e delineate, né, tanto meno, sottraggono attenzione alla linearità e inesorabilità degli eventi. Ogni personaggio ha il suo spessore, alle volte solo tratteggiato; ma sufficiente per evincere perfettamente sia l’interiorità, che l’esteriorità del vissuto sullo schermo. La storia inizia in medias res. Una giovane e bella coppia, Nick e Maria, si stanno, a quanto pare, preparando a una celere fuga; ma qualcuno bussa. La tensione è già presente, nei loro sguardi, nel contrasto tra la luminosità della stanza in cui si trovano e il buio da cui si sente provenire il rumore. Nick è convocato da Pablo Escobar. Questi, sta per consegnarsi alle autorità e prega, colto in una profonda quanto terrificante umanità, per poi parlare ai suoi uomini, in tutta la sua inquietante, terribile, figura. Ha bisogno di fare un’ultima delicatissima operazione. Da qui, lo spettatore viene portato indietro nel tempo, a quando Nick, giovane e bel surfista canadese, arriva in Colombia per raggiungere suo fratello Dylan. Davanti ai suoi occhi si apre un paradiso: una laguna turchese, spiagge bianche come l’avorio e onde perfette. Non per niente, il titolo originale è proprio “Escobar: Paradise Lost”. I due fratelli pensano davvero d’aver trovato il loro paradiso in terra. Il loro sogno è stabilirsi lì e aprire una scuola di surf. Nick incontra Maria, bella e sensuale colombiana. La loro storia d’amore si sviluppa chiaramente per lo spettatore, che la percepisce e la vive senza ch’essa divenga mai esplicita o mielosa. Bastano pochi tratti per avere chiara la situazione. Tutto sembra perfetto. Maria vuole presentare ufficialmente Nick alla sua famiglia e in particolare a suo zio, amato e acclamatissimo, i di cui manifesti troneggiano in tutto il paese: Pablo Escobar. Sentire Maria definirlo come un esportatore del principale prodotto colombiano: la cocaina, è semplicemente geniale e mette il punto, attraverso una sola frase, sulla duplicità di visione del personaggio: narcotrafficante spietato e senza scrupoli per il mondo, benefattore per i suoi congiunti e il suo popolo. È così che Nick entra a far parte della “famiglia”, naturalmente, non solo nel senso amorevole del termine, ma anche nel senso più occulto che il crimine organizzato da a tale parola. Il primo dialogo tra Pablo e Nick è apparentemente molto tranquillo nei toni e nelle espressioni dei due protagonisti; ma posso garantirvi che lo si percepisce, letteralmente, agghiacciante. Il ragazzo non sa nulla di Escobar ancora e parla con serenità, senza comprendere né sospettare le conseguenze delle sue parole. Solo trasferendosi a vivere nella villa di Pablo vedrà, intuirà, capirà. Siamo appena all’inizio del film, in verità. La storia prosegue in un climax di tensione fino a ricongiungersi alla scena iniziale e condurre per mano lo spettatore verso situazioni sempre più ambigue e inquietanti fino alla conclusione del film. Volutamente non vi dico altro perché è un film che va visto e gustato: nella profondità e sapienza delle inquadrature, nei giochi di forte luce e cupa tenebra, nell’accostamento dei toni caldi e freddi, nella tranquillità dei dialoghi che sottendono, nel loro placido svolgersi, terribili minacce e verità. Tutto scandisce la tensione, senza mai stressare lo spettatore. Di fatto, non si vede nulla di cruento, ma tutto è percepito in modo potentemente “brutale”. L’interpretazione è affidata a un cast d’eccezione, che si conferma tale e non ha certo bisogno né di encomi, né di presentazioni: Benicio Del Toro, nel ruolo di Pablo Escobar, Josh Hutcherson e Claudia Traisac, rispettivamente Nick e Maria nel film e Brady Corbet, nella parte di Dylan.




“IL TRADITORE TIPO”: DAL ROMANZO AL CINEMA, UN FILM ADRENALINICO

di Elisa Pedini – Esce nelle sale italiane domani, 5 maggio, il film “IL TRADITORE TIPO” per la regia della pluripremiata Susanna White. Il film è tratto dall’omonimo libro di John Le Carré, che ha lavorato a stretto contatto con lo sceneggiatore Hossein Amini, che è uno degli sceneggiatori più affermati del Regno Unito. Per la regista la sfida è stata quella di realizzare un film che rispettasse i canoni dello stile dello scrittore, ma che sapesse anche distinguersi, traducendosi in linguaggio cinematografico.

«L’aspettativa è alta quando si tratta di fare un film tratto da un’opera di Le Carré – afferma la White – Parte della mia sfida come regista è stata quella di apportare qualcosa di nuovo e al contempo far sì che i fan di le Carré non si sentissero traditi, ma anzi potessero apprezzare le scelte fatte per onorare un’opera letteraria molto particolare.». La regista, infatti aggiunge: «Mi ha colpito il fatto che si tratti di una storia molto moderna. Sono cresciuta con i romanzi di Le Carré e la maggior parte delle sue storie guardano al passato con buie ambientazioni, solitamente in interni. “IL TRADITORE TIPO” è, invece, un grande road movie, un viaggio attraverso cinque paesi. Si tratta di un Le Carré attuale». Le Carré è autore profondo, complesso, acuto, che crea personaggi estremamente reali e sfaccettati e trame stratificate che si prestano alla cinematografia. Il risultato è un thriller ricco di colpi di scena.

La trama de “IL TRADITORE TIPO” è complessa, è un film che va seguito col fiato sospeso dall’inizio alla fine. Si apre con una scena magnifica sul palco del Bolshoi Ballet di Mosca. Spettacolo sublime e il pubblico esplode in un applauso. Mentre cala il sipario, un gruppo di eleganti persone si dirigono dietro le quinte. Si tratta di Olga, sua figlia diciottenne Anna e suo marito, Misha, che firma alcune carte e le consegna a Nicolas Petrov, noto come “Il Principe”. Più tardi, quella sera stessa, la famiglia si dirige, in auto, a incontrare le sorelle gemelle minori di Anna. Lungo la strada, ai margini di una foresta innevata, quello che sembra un normale posto di controllo, si rivela un’imboscata e la famiglia viene sterminata. Ci spostiamo a Marrakech, in Marocco, dove, una coppia inglese sta cenando. Perry, è un uomo normale di quarant’anni, professore di poetica presso l’Università di Londra. Sua moglie, Gail, è, invece, una donna molto bella e un avvocato di successo. Sono in vacanza per tentare di salvare il loro matrimonio, in seguito al tradimento di Perry con una studentessa. L’uomo è diviso fra i sensi di colpa per l’infelicità causata a sua moglie e l’invidia che, di fatto, prova per il successo professionale, sempre più grande, della donna. Mentre Gail si assenta, Perry conosce Dima, un possente uomo d’affari russo. Da quel momento la coppia comincia a frequentare Dima e la sua famiglia. Mentre gli eventi evolvono, si dipana anche la storia di questo matrimonio, che si mostra come un’unione molto moderna. I due protagonisti non ricoprono i tradizionali ruoli di marito e moglie. Entrambi partecipano alle situazioni e vediamo le conseguenze delle loro azioni e di come queste influiscano su di loro. Vediamo come Perry, sotto l’aspetto piuttosto dimesso e pacato, sia un uomo assai diverso, in realtà. Tra partite di tennis e sontuose feste nella sua villa, Dima rivela alla coppia di essere il principale riciclatore di denaro sporco per conto della mafia russa e che le due gemelline di sei anni che sono con lui, Katya e Irina, sono le figlie di Misha, suo migliore amico, nonché collaboratore, che è stato massacrato con la sua famiglia, dopo aver trasferito i suoi conti al Principe, il nuovo boss senza scrupoli del Vory. Dima teme per la propria incolumità e per quella della sua famiglia. Per questo motivo, vorrebbe rifugiarsi in Gran Bretagna, offrendo, in cambio, informazioni segrete relative ai rapporti tra mafia russa e lo stato britannico. È a questo punto che, nel tentativo di aiutare Dima, nonché di salvare se stessi, Perry e Gail vengono catapultati nel pericoloso mondo dello spionaggio internazionale e della corruzione politica. Fra colpi di scena e situazioni mozzafiato, lascio a voi godervi il proseguo di questa storia in una Gran Bretagna molto moderna, dove anche la moralità si è trasformata in qualcosa di molto più simile a un compromesso.

“IL TRADITORE TIPO” è interpretato da: Ewan McGregor, Stellan Skarsgård, Damian Lewis e Naomie Harris.