1

“DA MONET A MATISSE. L’ARTE DI DIPINGERE IL GIARDINO MODERNO”: IL MONDO INCANTATO DELLA NATURA E DELL’ARTE

di Elisa PediniEsce nelle sale italiane solo per due date: il 24 e il 25 maggio, il film-documentarioDa Monet a Matisse. L’arte di dipingere il giardino moderno”, della Royal Academy of Arts, che, partendo dalla sua imponente e magnifica mostra, ci porta dentro un tour cinematografico per raccontare la passione che lega alcuni dei più grandi artisti moderni, come Monet, Matisse, Bonnard, Renoir, Kandinskij, Pissarro, Sorolla, Nolde, Libermann, ai loro giardini prediletti. Per trovare la sala più vicina a voi che avrà questo film in programmazione consultate il sito: www.nexodigital.it. Pellicola delicata, che fa sognare e rilassare, passeggiando nell’arte e in alcuni dei giardini più belli del mondo. Non è un documentario sulla storia dell’arte, per nulla, è il racconto d’una storia d’amore: quella tra gli artisti e la natura che li ha ispirati. Il film rientra nel progetto della “Grande Arte al Cinema” di Nexo Digital ed è un’occasione, unica e irripetibile, per visitare la coinvolgente mostra, allestita dall’Accademia londinese, per raccontare l’evoluzione del tema del giardino nell’arte moderna: dalle bellissime e colorate visioni degli Impressionisti fino alle sperimentazioni più audaci, oniriche e simboliche dei movimenti d’avanguardia. Il film si apre trasportando lo spettatore dentro una natura meravigliosa e colorata. Una musica rilassante accompagna questo spettacolo di luce e colore. Si entra in una dimensione parallela, soave e incantevole: quella della natura e dell’arte. Come l’uomo abbia sempre e costantemente tratto ispirazione dalla natura è assai noto e non è difficile comprenderne il perché. Impossibile sottrarsi alla bellezza d’un fiore, ai suoi colori, al suo profumo, a quella tecnica perfetta rappresentata dalla sua stessa conformazione. Distese di fiori di altezze diverse, colori diversi. L’incanto che una persona normale subisce dall’osservare certi capolavori della natura, viene portato all’ennesima potenza dallo sguardo e dalla sensibilità dell’artista. Monet, forse il più noto ed importante pittore di giardini nella storia dell’arte, è il punto di partenza della mostra e quindi del nostro film. Personalità affascinante, nonché appassionato ed esperto orticoltore. «Se sono diventato pittore lo devo ai fiori» diceva Claude Monet. Pensate che, per cogliere le diverse inclinazioni di luce e tutte le sfumature di colore, si svegliava all’alba e dipingeva. Dipingeva sotto il sole cocente e sotto la pioggia battente. Intorno alla sua casa rosa a Giverny aveva creato un giardino con uno stagno e un ponte giapponese, che ancor oggi accoglie migliaia di visitatori con le sue tinte e i suoi avvolgenti profumi. Dalle passeggiate sulle colline intorno alla proprietà, Monet tornava con semi di fiori selvatici per coltivarli nelle sue aiuole. È così che lo spettatore viene preso per mano e visita i più bei giardini del mondo, raffigurati, poi, all’interno di opere d’arte: oltre alle ninfee di Monet a Giverny, visita il giardino di Bonnard a Vernonnet, in Normandia, o quello di Kandinskij a Murnau, in Alta Baviera, luogo dincontro di musicisti e artisti provenienti da tutto il mondo. Ma non è tutto: questo film è anche ricco d’interventi di studiosi e artisti che spiegano, anche da un punto di vista storico e sociale, l’importanza dei giardini e per conseguenza il perché di questo tanto ricercato ritorno alla natura, che caratterizzò il periodo tra la l’Ottocento e il Novecento. Quello che la natura, attraverso i giardini, inizialmente va a dimostrare è la magnificenza dei nobili, poi diviene specchio d’intimità familiare ed ecco che, allora, vi si colgono scene più private, fino a divenire una vera e propria oasi di pace, una fuga personalissima e protetta dal rumore e dal caos. Una pellicola davvero unica per tantissime ragioni. Prima fra tutte, perché rappresenta un’occasione imperdibile di vedere una mostra che, altrimenti, bisognerebbe andare a Londra per poter visitare. Inoltre, perché consente di vedere giardini incantevoli, veri e propri gioielli d’architettura, in giro per tutto il mondo. In più, perché si parla di arte in modo molto intrigante e interessante: infatti, come ho detto all’inizio, si tratta di un “tour”, sia dentro la storia, l’arte e le opere, sia “dietro le quinte” dei magnifici paesaggi, di cui lo spettatore gode sullo schermo. Arricchito, dagli interventi e dalle intuizioni di esperti internazionali di giardinaggio e critici d’arte per svelare il rapporto tra l’arte e i giardini. Impreziosito, dalle interviste ad artisti moderni, come Lachlan Goudie e Tania Kovats, che rivelano come il rapporto tra l’artista e il mondo naturale sia tema di grande attualità. Infine e soprattutto, perché è uno degli aspetti che, davvero, mi ha colpito di più, per come mi sono sentita alla fine del film: incredibilmente bene. Rinnovata d’energia. Mi sento d’affermare che questo film andrebbe visto proprio per fare un regalo a se stessi: ovvero, donarsi la gioia di lasciare il mondo fuori e passare un’ora e mezza nella serenità e nella pace che soltanto la natura e l’arte sono in grado di dare.

Questo slideshow richiede JavaScript.




Le evoluzioni di Matisse in mostra a Torino

di Emanuele Domenico Vicini – Esporre Matisse, coprendo, con una cinquantina di opere, pressoché tutto l’arco della sua produzione, dagli esordi con il maestro Gustave Moreau, fino alle ultime carte ritagliate degli anni Sessanta, significa offrire uno scorcio davvero ampio sulla cultura artistica del primo Novecento in Europa.
La mostra di Palazzo Chiablese, a Torino, visitabile fino al prossimo maggio, nasce dalla strepitosa collezione matissiana conservata al Centre Pompidou, curata da Cécile Debray, storica dell’arte, da sempre impegnata in esposizioni di grande respiro e di assoluta chiarezza didattica.
Anche questa fatica dedicata al pittore di Cateau Cambrésis, come altri lavori precedenti (penso alla mostra dedicata a Balthus, a Roma, dell’ottobre scorso) si divide in dieci sezioni, che raccontano l’evoluzione stilistica e tematica di Matisse, confrontandola con il contesto storico e pittorico della Francia e dell’Europa del primo Novecento.
La mostra si compone di un patrimonio di circa cinquanta opere di Matisse e altrettante di autori contemporanei (Picasso, Renoir, Modigliani, Bonnard, Miró, Derain Braque, Léger). In questo modo, l’esposizione perde la sua rigida linearità di narrazione retta, per diventare invece un’esperienza più ricca, ampia, capace di farci cogliere Matisse nella relazione e nello scambio con i suoi colleghi.
Approdato alla pittura dopo un percorso di studi in legge, si forma con Gustave Moreau, pittore simbolista che nella Francia della seconda metà dell’Ottocento, mentre gli Impressionisti si affacciavano alla ribalta, aveva introdotto temi colti e seducenti, riferimenti al mito classico e alla bibbia, immagini spesso ambigue nelle loro allusioni, ma stilisticamente impeccabili, nel fascino di una tecnica di disegno altissima e di uno sfumato di sapore leonardesco.
In questo contesto impara l’arte e la storia della pittura, ma soprattutto acquisisce il senso della nobiltà della disciplina, il suo valore estetico intrinseco e proprio, che, pur nelle diverse fasi del suo percorso, non verrà mai meno.
Il balzo agli onori delle cronache avviene nel 1905, quando espone al Salon d’Automne, insieme con Derain, Vlaminck e altri, tutti artisti provenienti da percorsi diversi. In quell’occasione Louis Vauxcelles, importante critico d’arte nella Francia di inizio secolo, definisce questi giovani pittori fauves, belve: autori di opere rozze, con colori chiassosi e accostati in modo brutale, composti in forme primitive.
Nasce così l’Espressionismo in Francia, madre di tutte le avanguardie del secolo, vero punto di rottura con qualsiasi accademia.
Tra il 1905 e il 1906 il movimento vive la sua stagione d’oro, breve ma sufficiente a determinare i destini della pittura europea.
La prima fonte di ispirazione per Matisse è il Midi, il Mezzogiorno, di Francia, dove la sua tavolozza viene riscaldata dal sole mediterraneo e addolcita dall’azzurro del mare. Il paesaggio paradisiaco e incontaminato del sud schiarisce e purifica i colori, anticipando le suggestioni che alcuni anni dopo verranno dall’Oriente e dal Nord Africa.
Il pittore abbandona così definitivamente l’adesione al dato naturale che, ereditato dall’Impressionismo, stava caratterizzando ancora molti pittori di quel decennio. Lentamente, Matisse approda a un lavoro di scomposizione cromatica decisamente poco ortodosso. Non si tratta più di impressioni di luce e colore, ma l’espressione libera delle emozioni che animano il cuore dell’artista.
La novità che qui nasce, e gradualmente si consolida negli anni seguenti, è la consapevolezza che la tecnica divisionista, la scansione dei colori primari in piccoli punti o linee, da pochissimo entrata in uso nella pittura europea più moderna, in realtà è inadeguata, perché non crea emozione, non comunica la profondità di uno stato d’animo. Matisse cerca la forza del colore, l’intensità, la gioia di vivere. Tornano quindi le tinte piatte, in fortissimi contrasti, e un disegno estremamente semplificato.
I corpi, i nudi, le figure che compaiono nei dipinti di questa fase sono l’immagine di una bellezza originale, pura e incontaminata, segnata dalla libertà e dalla sensualità che nasce dalla naturalezza delle loro forme e dalla relazione spontanea con il mondo che li ospita.
Superato i problemi tecnici del divisionismo, Matisse nelle grandi campiture piatte manifesta l’aspirazione a una definitiva autonomia espressiva del colore.
Il continuo confronto con gli altri protagonisti della pittura europea del Novecento presenti in mostra aiuta a capire senza dubbio che Matisse non dipinge persone, cose e paesaggi per raccontare storie: dipinge per fare pittura. La sua arte non si piega a imitare la realtà, ma racconta l’atto pittorico in sé. I colori e le forme non servono a descrivere nulla, sono studiati come colori e forme puri, come atti artistici e creativi che hanno un preciso valore estetico, a prescindere dalla loro connessione logica.
Emblematica in questo senso è la lettura comparata delle opere dedicate all’atelier dell’artista soggetto frequentissimo in Matisse, qui affiancato allo Studio di Picasso e a Atelier IX di Braque. Il tema, risalente agli anni Cinquanta, ci offre un ambiente privato, chiuso, che rappresenta lo spazio dell’artista dove gli oggetti sono proiezioni mentali, allusioni metaforiche al fare arte e alla disciplina stessa della pittura.
Lo studio non ha alcuna realtà al di fuori di quella pittorica. Matisse non vive nel proprio studio, che non è parte della sua casa (come invece accade a quasi tutti i suoi colleghi). È un ambiente costruito apposta, progettato come funzionale contenitore per il proprio lavoro pittorico. Nelle sue rappresentazioni dello studio d’artista, i contorni sono appena tratteggiati da linee sottilissime che trasformano i pochissimi arredi in apparizioni fantasmatiche che servono solo a delimitare campiture di colore a contrasto.
A differenza di Picasso e Braque, che nell’atelier raccontano la loro cultura, i loro sogni, la storia della loro arte, Matisse elimina qualsiasi attributo celebrativo e simbolico. Lo studio non racconta il fatto sociale della pittura, ma dà risalto a una sua logica interna. Il colore non descrive uno spazio reale, ma esprime l’intensità spirituale ed emotiva del fare arte.
Questo processo creativo non può che portare infine Matisse ha un incontro profondo e intensissimo con la musica. Ne è testimone la serie di Icaro, presente in mostra, composta di una ventina di tavole, create per illustrare in pittura la potenza evocativa del jazz. La musica rappresenta l’abbandono incondizionato al senso dell’infinito, è la massima espressione di uno spirito libero che supera la realtà e si libra indisturbato nel cielo della creatività.

Questo slideshow richiede JavaScript.

Matisse e il suo tempo

Palazzo Chiablese, Torino, fino al 15 maggio 2016