1

L’Aida di Anna Netrebko infiamma Verona

Dieci minuti di standing ovation hanno chiuso la rappresentazione dell’Aida di Giuseppe Verdi all’Arena di Verona. Sabato 16 luglio, in una serata prossima al sold outè trionfare è stata Anna Netrebko nel ruolo della protagonista, la Celeste Aida figlia del re etiope Amonasro e schiava in Egitto. Carismatica in “Ritorna vincitor”, suadente in “O cieli azzurri” e poi ancoracombattuta e accorata nel tragico duetto con Amonasro e sensuale in quello con l’innamorato Radames, Netrebko ha saputo dominare la scena anche grazie all’intesa conYusif Eyvazov, suo compagno nella vita e sul palcoscenico.  Lasciate al di fuori dell’anfiteatro romano le polemiche sull’utilizzo del “blackface”, il pubblico del 99° Verona Opera Festival è rimasto incantatodal ritorno in scena del soprano russa nell’opera regina dell’Arena.

Accompagnata da un cast di eccezione a iniziare daltenore Eyvazov nel ruolo del guerriero Radames combattuto tra l’amore per Aida e l’amore per la propria patria dal mezzosoprano Anna Maria Chiuri nel ruolo di Amneris, figlia del Re degli Egizi e sfortunata terza nel triangolo amoroso in scena. Applausi anche per Amonasro interpretato dal baritono Ambrogio Maestri che alterna la dolente supplica al Re degli Egizi con l’intransigente duetto con Aida, per il Re degli Egizi del basso Romano Dal Zovo e per il gran sacerdote Ramfis del basso polacco Rafał Siwek.

L’allestimento dell’Aida proposta dal 99° Verona Opera Festival è quello monumentale e faraonicofirmato, vent’anni fa, da Franco Zeffirelli che porta in scena un Egitto dorato, magnificente, prezioso, sovrabbondante, immaginario e sontuoso sovrastato da una colossale piramide e su cui vegliano gli occhi delle 14 sfingi e dei quattro idoli collocati sugli spalti e sulla scena La scena monumentale e tradizionale, anche grazie ai costumi multicolori di Anna Anni e alle coreografie originali di Vladimir Vasiliev, restituisce la doppia anima dell’opera di Verdi solenne ed esotica in costante equilibrio fra l’intimismo dei duetti sottolineato da calibrati giochi di luce e la grandeur del trionfo e delle celebrazioni pubbliche come nell’invocazione a Fthà o nell’esortazione alla guerra. Amori, gelosie, passioni, vendette, drammi dilanianti, pentimenti e messaggi di pace tra popoli si alterano sul palco in una rappresentazione che non può che suscitare stupore e meraviglia tra gli spettatori.  Non manca chi parla perfino di un allestimento hollywoodiano e di una “operazione esteticamente abbagliante” per questo allestimento dell’opera tratta da Verdi dal soggetto originale dell’egittologo Mariette e rappresentata in Arena fin dalle origini nel 1913.

Questo slideshow richiede JavaScript.

Sul podio di Aida il Maestro Marco Armiliato, Direttore musicale del 99° Arena di Verona Opera Festival 2022, alla guida di Orchestra della Fondazione Arena e Coro preparato da Ulisse Trabacchin. Insieme al Ballo areniano coordinato da Gaetano Petrosino, oltre alla Akmen di Ana Sophia Scheller, fatale spirito guida creato da Zeffirelli appositamente nel 2002 (all’epoca per Carla Fracci), si confermano i due primi ballerini Eleana Andreoudi e Alessandro Staiano.

Si può dire quindi che l’Arena di Verona rimane il teatro migliore dove godersi l’Aida nella lunga stagione estiva. Da non perdere le prossime repliche: 24, 28 luglio (ore 21.00); 5, 21, 28 agosto (ore 20.45) e 4 settembre (ore 20.45).​




La magia de La Traviata incanta l’Arena di Verona

Emozioni e magia incantano le migliaia di spettatori seduti sugli spalti dell’Arena di Verona che si zittiscono improvvisamente quando i violini aprono il Preludio de La Traviata di Giuseppe Verdi nell’allestimento di Franco Zeffirelli, l’ultima sontuosa creazione firmata dal Maestro toscano che ha inaugurato il Verona ’Opera Festival del 2019. Un affresco sulla Parigi dell’Ottocento con un trionfo di colori, luci e costumi che portano lo spettatore subito nel cuore dell’opera più rappresentata al mondo. Lo spettacolo, diretto dal Maestro Marco Armiliato, direttore musicale del Festival, adatta il percorso intimo e psicologico di Violetta, travolta dall’inaspettata storia d’amore tanto da spingersi al sacrificio di sé, alla grandiosità degli spazi areniani con una scena ambiziosa su più livelli resa possibile da una colossale scatola scenica.  Ancora poche repliche per uno spettacolo da non perdere: 22, 30 luglio (ore 21.00), 6, 20 agosto e 1 settembre (ore 20.45). Dopo occorrerà attendere l’estate del 2023 quando, per il Festival del centenario, sarà ripresa anche LA Traviata allestita da Zeffirelli insieme ad a altri sei titoli.

“Questa Traviata vuole essere un omaggio all’arte e alla tecnica di Zeffirelli, da parte di tutte le maestranze areniane, cui è richiesto un lavoro d’eccellenza. Come lui, inoltre, vogliamo credere nei giovani, e anche in questa produzione, accanto a stelle affermate, debuttano virgulti a cui auguriamo una carriera internazionale” racconta Cecilia Gasdia, Sovrintendente e Direttore Artistico di Fondazione Arena, ricordando come nel 1984 fu scelta proprio dal Maestro toscano come Violetta, ne La Traviata diretta da Carlos Kleiber, per poi aggiungere: “Da Sovrintendente, trentacinque anni dopo, è stato un onore per me poter affidare a Zeffirelli un nuovo allestimento e realizzare un sogno che coltivava dal 2008”. L’allestimento in scena de La Traviata “raccoglie l’idea originale di Zeffirelli, quel geniale flash forward che seguendo la musica di Verdi origina una storia d’amore fra le più belle di sempre, e la amplifica rendendola adatta all’unicità degli spazi areniani. Il tutto, grazie anche ai suoi collaboratori, nel segno della cura del particolare, anche nella scena più affollata, che contraddistingue l’opera sempre viva del Maestro. È stata lungamente, accuratamente preparata con lui e presentata al suo fianco nella primavera 2019. Ora la riproponiamo per la prima volta, rendendogli giustizia con un irripetibile cast di stelle” aggiunge Stefano Trespidi, vice Direttore Artistico.

Si inizia dalla fine, dal corteo funebre di Violetta, la Traviata il cui destino, evidenziato dalle note dolenti del Preludio, appare segnato fin da subito. L’irrompere dell’amore per Alfredo porta alla sorpresa, all’esplosione di gioia incontenibile, prima che venga chiesto e accettato il passo indietro per il bene dell’amato e quindi alla rinuncia e al riscatto. La storia è nota per un ruolo titanico che ha visto protagonista la giovane soprano armeno Nina Minasyan che ha dominato la scena commuovendo con grazia e delicatezza  il pubblico dell’Arena che, a sua volta, le ha tributato una standing ovation. Lunghi applausi nella rappresentazione del 15 luglio anche il tenore Francesco Meli, tornato in Arena come Alfredo Germont e per il baritono Amartuvshin Enkhbat (già Nabucco) nel ruolo di Giorgio Germont.

Impreziosiscono l’allestimento i costumi creati da Maurizio Millenotti, le luci di Paolo Mazzon e le coreografie di Giuseppe Picone interpretate dal Ballo dell’Arena coordinate da Gaetano Petrosino e con i primi ballerini Eleana Andreoudi e Alessandro Staiano. L’Orchestra della Fondazione Arena e il Coro preparato da Ulisse Trabacchin sono diretti dal Maestro Armiliato.​




In Arena la Carmen colossal di Zeffirelli

Cinquecento persone sul palco e 13mila sedute tra platea e gradinate dell’Arena di Verona per applaudire con una standing ovation il nuovo allestimento colossal di Carmen di Franco Zeffirelli. L’opera si propone come sintesi dei due diversi allestimenti creati dal Maestro per la messa in scena dell’opera di Georges Bizet all’Opera Festival di Verona. Un caleidoscopio di colori, danze travolgenti, emozioni e musica che catapulta lo spettatore in una caotica Siviglia ottocentesca, ricostruita tra palco a grandezza naturale con case, chiese e piazze avvolte da un sole abbacinante, rendendolo partecipe delle vicende dell’eroina raccontata da Prosper Mérimée che, anche grazie ai librettisti Meilhac e Halévy, è allo stesso tempo una femme fatale sprezzante capace di far perdere all’uomo il controllo di sé, una donna consapevole dei propri desideri, uno spirito libero e la vittima chi  è incapace di accettare la libertà come valore fondate della vita di una persona.

Zeffirelli accompagna lo spettatore dentro la tormentata vicenda della sigaraia e dei suoi amori feroci roventi con il brigadiere Don Josè e il torero Escamillo, con quadri che, fin dall’ouverture, mostrano la grandezza delle masse in scena. Lo spettacolare allestimento integra, anche grazie al coinvolgimento della Fondazione Franco Zeffirelli, la supervisione del suo presidente Pippo Zeffirelli e la partecipazione degli storici collaboratori del Maestro (come Carlo Centolavigna e Lucia Real), le migliori intuizioni di Zeffirelli per gli allestimenti del 1995 e del 2009 con nuovi elementi tratti dai bozzetti originali come i velari che incorniciano il proscenio delimitando, come in un teatro al chiuso, i confini della storia raccontata sul palco. Dirige il maestro Marco Armiliato, Direttore Musicale del 99° Opera Festival, che guida, imprimendo un efficace ritmo teatrale e creando le giuste atmosfere cromatiche Orchestra e Coro della Fondazione Arena di Verona, le voci bianche di A.Li.Ve  e un cast internazionale di stelle a cui si aggiungono la compagnia di ballo areniana con le coreografie originali di El Camborio riprese da Lucia Real e la Compañia Antonio Gades diretta da Stella Arauzo, protagonista di un applaudito intermezzo flamenco tra il terzo e quarto atto. Gli sgargianti costumi sono quelli originali di Anna Anni, mentre le luci sono opera di Paolo Mazzon che evidenzia prima l’atmosfera mediterranea, poi la segretezza dei traffici notturni sui monti e infine il climax con la torrida piazza con al centro una croce votiva quando, nel giorno della corrida, si consuma la tragedia.

Nonostante Carmen sia la seconda opera più rappresentata sul palco dell’Arena di Verona, subito dopo l’Aida e nonostante i due precedenti allestimenti di Zeffirelli siano stati una costante negli ultimi anni, questa versione vale sicuramente il viaggio a Verona per l’atmosfera incandescente creata sul palco; per l’attualità di una storia, quella di Carmen, in grado di rinnovarsi anno dopo anno e di apparire sempre moderna agli occhi degli spettatori; per la realizzazione d’eccezione in ogni singolo dettaglio, compresa l’improvvisazione flamenca a cui la Compañia Antonio Gades dà vita nel cambio di scena a cavallo tra il terzo e quarto atto; ma soprattutto per le voci in grado di incantare, replica dopo replica, migliaia di turisti e melomani.  Meglio organizzarsi fin da subito per non lasciarsi sfuggire l’occasione di assistere a questo appassionante allestimento che ha dato il via al 99° Opera Festival 2022. Le repliche, dopo la prima del 17 giugno, non sono tantissime e nell’ordine: 30 giugno, 14,21,31 luglio e 11,14 e 27 agosto.​




Al via il Verona Opera Festival 2022

Al via la 99° edizione del Verona Opera Festival che finalmente, con l’estate 2022, torna agli scenografici allestimenti tradizionali per le 46 serate in cartellone in Arena tra giugno e settembre, mentre si guarda già al cartellone da colossal per il Festival del centenario, quello della prossima estate. Prezzi a partire da 28 euro per i biglietti interi per serate che si preannunciano indimenticabili grazie al fascino del luogo con quasi duemila anni storia ae spalle, alle centinaia di artisti in scena, tra cantanti, ballerini, professori d’orchestra, coro, mimi e acrobati, alle fantasmagoriche scenografie.

LA GRANDE BELLEZZA DEL VERONA OPERA FESTIVAL

Non serve essere melomani per apprezzare il Festival Lirico che, dal 1913, si svolge ogni estate a Verona nell’anfiteatro romano. L’idea, oltre in secolo fa, venne al tenore veronese Giovanni Zenatello che, per celebrare il primo centenario dalla nascita di Giuseppe Verdi, allestì l’Aida in Arena. E, da allora, l’opera di Verdi che si svolge all’ombra delle Piramidi è un appuntamento fisso nella programmazione del Festival: anche quest’anno torna infatti con un allestimento firmato da Franco Zeffirelli. «Torniamo a vedere con entusiasmo, speranza, trepidazione, la luna che sorge sulle nostre guglie da fiaba, su tende gitane, piramidi dorate, mentre l’aria si riempie del canto e della musica universale dei nostri maestri fino all’ultimo degli spalti. Abbiamo voglia, anzi la necessità, di vivere appieno tutto questo, di tornare a respirare …e l’Arena è puro ossigeno» ha commentato in merito Cecilia Gasdia, sovraintendente e direttore artistico.

IN SCENA

L’estate 2022 vede in cartellone  cinque titoli d’opera, tre eventi speciali e tantissime stelle. Il Verona Opera Festival 2022 propone un cast internazionale, tra cui si segnalano Plácido Domingo, Vittorio Grigolo, Roberto Grigolo, Anna Netrebko, Lisette Oropesa, J’Nai Bridges ed Elina Garanča, definita dal New York Times “la miglior Carmen degli ultimi 25 anni” al suo debutto sul più grande palcoscenico sotto le stelle per le serate dell’11 e del 14 agosto. Direttore musicale è Marco Armiliato.«

In scena si alternano La Traviata, Aida, Turandot, Carmen, Nabucco, oltre all’evento Plácido Domingo in Verdi Opera Night  (il 25 agosto) che alza il sipario su Macbeth, Don Carlo e Aida; al ritorno di Roberto Bolle and Friends con un programma che unisce danza classica, moderna e contemporanea (il 20 luglio) e all’appuntamento tradizionale con la musica sinfonica dei Carmina Burana di Carl Orff (il 12 agosto) con la partecipazione di orchestra e coro areniani al completo, due cori di voci bianche e Lisette Oropesa, Filippo Mineccia e Mario Cassi come solisti.

A dare il via al Festival, il 17 giugno, è la Carmen di Georges Bizet con un nuovo allestimento di Franco Zeffirelli che integra il leggendario progetto originario del 1995, con cui il Maestro fiorentino debutto in Arena, con le intuizioni adottate nella ripresa dell’opera nel 2009 e elementi scenografici che il compianto registra aveva solo disegnato e vede il coinvolgimento della Fondazione Zeffirelli e di collaboratori storici dell’artista. Dopo la Carmen, che sarà protagonista per nove serate nel corso dell’estate, è la volta il 18 giugno, dall’Aida, opera icona del Festival, che sarà proposta per undici serate compresa quella di chiusura a settembre. In cartellone poi, per otto serate, il Nabucco di Verdi con la produzione dal respiro risorgimentale di Arnauld Bernard per otto serate; La Traviata di Verdi, ultima creazione di Zeffirelli, sempre per otto serate e, per sei serate, la Turandot di Giacomo Puccini nell’allestimento da fiaba ancora una volta firmato dal Maestro toscano e che vede in scena, per un’unica data evento Domingo.




Carmen ammalia Verona

Una Carmen ribelle, sensuale, passionale, egoista, dominatrice e determinata è quella che ha aperto la stagione del 96° Opera Festival all’Arena di Verona. La Carmen immaginata da Hugo de Ana prende vita in epoca franchista, a metà degli Anni ’30, oltre cinquant’anni la messa in scena della prima rappresentazione di una delle opere più amate a livello mondiale grazie a quell’afflato di libertà che contraddistingue la protagonista. Carmen infatti è una donna che si distingue tra le altre proprio per la risoluta ricerca della libertà, scelta che riafferma con orgoglio anche di fronte anche alla morte imminente. Una vittima di femminicidio, come è stato sottolineato nel corso della prima rappresentazione areniana di un mese fa con la deposizione al posto 32 della platea di 32 rose rosse a ricordo della vittima di femminicidio da inizio anno. Da allora, il numero è salito a 39. Il che evidenzia, purtroppo, l’attualità dell’opera di Georges Bizet su libretto di Prosper Mérimée: dalla prima rappresentazione della Carmen del 1875 sono passati oltre cent’anni ma poco è cambiato, rimangono purtroppo numerosi gli uomini come Don Jose che confondono l’ossessione malata per amore e non accettano il “no” come risposta.

 

La scelta di de Ana di ambientare l’opera durante la guerra civile spagnola che ha imperversato nella Penisola iberica negli Anni ’30, ben si adatta al personaggio di Bizet. In quegli anni infatti, partecipando alla lotta armata, le donne hanno avuto modo di iniziare l’emancipazione anche sul fronte politico. Un altro tassello che ben si adatta alla rivoluzionaria complessità di Carmen. L’allestimento è dinamico tra cavalli, auto, carri si muovono ballerini, sigaraie e soldati in un movimento talvolta caotico ma studiato sulle le macerie di una Spagna ferita dalla guerra civile. Uno scenario che sottolinea la brutalità della guerra, piuttosto che la Spagna da cartolina spesso convenzionalmente rappresentata in Carmen. Nel primo e nel terzo atto predominano i colori più cupi, il bianco e il nero, mente il secondo atto, quello ambientato alla locanda di Lillas Pastia è un tripudio di colori e in qualche modo ricorda e forse omaggia, nell’uso dei grandi cartelloni pubblicitari di corride e spettacoli di flamenco, la Carmen di Franco Zeffirelli che ha trionfato in Arena nel corso delle ultime stagioni. Peccato solo che la piaggia abbia interrotto il 4° e ultimo atto dell’opera che avrebbe portato in scena la rappresentazione della corrida con l’ideazione di un’arena in arena. Ma in Arena capita ed è anzi una fortuna che, in una giornata di tempeste e temporali su tutto il Veneto come quella di sabato 21 luglio, sia stato comunque possibile assistere ai primi tre atti. Interessante infine l’uso del video mapping sugli spalti dietro il palco, ovvero la proiezione di scritte che contestualizzano la storia rappresentata in un luogo e in momento storico preciso e, talvolta, producono le immagini della città andalusa. Un spunto ulteriore è stara poi l’idea di de Ana di prevedere un percorso circolare che inizia dalla fine (una conclusione immaginata), l’esecuzione di Don Jose in seguito all’uccisione di Carmen nella stessa arena che vede nel 4 atto il trionfo di Escamillo.

 

Sul palco ottima prova per Anna Goryachova, mezzosoprano dal timbro omogeneo che ha saputo sprigionar la sensualità di Carmen in una interpretazione fluida e disinvolta. Serena Gamberoni, soprano al suo debutto in questa stagione in arena, è stata un Micaela dalla vocalità fresca e sicura che ha incantato il pubblico nel terzo atto nella struggente Je dis que rien ne m’épouvante. Un plauso a Francesco Meli, Don Jose, compagno di palco e di vita di Serena Gamberoni che ha unito un’esecuzione impeccabile alla tragica espressività del protagonista.  Alexander Vinogradov è stato infine un convincente Escamillo dalla voce piena e potente. In scena anche Ruth Iniesta (Frasquita) e Arina Alexeeva (Mercédès) che insieme a Goryachova hanno dato vita all’incantevole terzetto Mêlons!, Coupons!, divertente prima e con un crescendo drammatico sul finale. Completano il cast Davide Fersini (Dancairo), Enrico Casari (Remendado), Gianluca Breda (Zuniga) e Gocha Abuladze ( Moralès). A dirigere l’orchestra Francesco Ivan Ciampa, mentre il maestro del coro è Vito Lombardi e il coordinatore del ballo è Gaetano Petrosino. Il Coro di Voci bianche ALiVe è infine diretto da Paolo Facincani.

Uno spettacolo da non perdere.

Questo slideshow richiede JavaScript.

©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Repliche:  3, 9, 12, 22, 25, 28 e 31 agosto  (h 20.45).

Biglietti a partire da 22 euro




Festival della Valle d’Itria: intervista al direttore artistico Alberto Triola

Dal 13 luglio al 4 agosto 2018 torna uno degli eventi estivi più attesi per gli amanti dell’opera e della musica classica: il Festival della Valle d’Itria. Nella suggestiva e affascinante cornice di Martina Franca vanno in scena quattro secoli di teatro musicale, con grande attenzione al barocco, e la partecipazione di artisti di fama internazionale.

Abbiamo incontrato il direttore artistico del Festival, Alberto Triola, per scoprire tutte le peculiarità di questo grande evento e le novità che ha in serbo questa edizione.

Presentiamo questo Festival, giunto alla sua 44^ edizione.

Il Festival Valle d’Itria è un unicum nel suo genere in Italia. L’ambito di repertorio e il baricentro delle proposte culturali su cui il Festival si concentra è quello del belcanto italiano, riallacciandosi alle ricerche, alle proposte, agli studi fatti da Rodolfo Celletti a partire dagli anni ‘70 e proseguiti poi anche negli anni ‘80. Oggi quando si parla di “belcanto renaissance” si parla di Martina Franca come laboratorio di incubazione di quel tipo di ricerca e di riproposta, con opere e produzioni e messe in scena che oggi sembrano normali ma che negli anni Settanta erano poco praticate. Alberto Zedda, che fu legato al Festival di Martina Franca, ricoprendo anche la carica di direttore musicale nei primi anni del Festival, ricordava sempre che non sarebbe nato il Rossini Opera Festival, monografico su Rossini, senza l’esperienza di Martina Franca. Nel corso dei decenni questo Festival ha ampliato i propri ambiti. Pur mantenendo come baricentro il belcanto italiano, ha aperto dei filoni di approfondimento sul teatro musicale del ‘600 e sul ‘900. Questo soprattutto negli ultimi dieci anni, partendo dalla convinzione che un festival di ricerca non può considerarsi completo se non accende un interesse particolare nei confronti della creatività contemporanea. Entriamo subito in medias res, col Festival di quest’anno, con questa proposta, assolutamente inedita, trasversale e multistrato, del Barbiere di Siviglia rivisitato. Nell’anno di Rossini, il Festival ha scelto, piuttosto che mettere in scena un’opera di Rossini così come scritta, di mantenersi fedele alla propria identità di luogo di ricerca, di proposta e di laboratorio. Il Festival ha deciso di intraprendere la strada di una riscrittura drammaturgico-musicale del grande capolavoro rossiniano, cogliendo una serie di occasioni. Prima fra tutte la collaborazione con la Festa della Taranta, che è l’altro grande festival del Mezzogiorno italiano, salentino, naturalmente con potenzialità di pubblico molto più elevate e molto più ampie. In Rossini c’è questo elemento dionisiaco molto risonante rispetto a certi moduli che il tarantismo propone. Ci siamo imposti di scavare in questo punto di incontro. Abbiamo pertanto affidato alla Festa della Taranta la realizzazione della parte musicale. In buca invece di un’orchestra tradizionale ci sarà l’ensemble di musica popolare della taranta, insieme a strumenti tradizionali, più classici, con una riscrittura della musica di Rossini in questa chiave. La seconda occasione presa è quella di potersi avvalere sul palco di un talento teatrale e musicale in grado di intercettare anche il cosiddetto “grande pubblico”, quello di Elio (di Elio e le storie tese), che da una vita ha messo Rossini al centro di suoi lavori, di sue ricerche, della sua passione personale ma che non aveva ancora mai affrontato un’opera nel suo complesso. Avremo uno spettacolo sorprendente, inedito, in grado di chiamare un pubblico molto vasto ma non soltanto per un’occasione di facile fruizione. Il festival infatti darà un piccolo contributo di approfondimento, per una chiave di lettura della musica rossiniana diversa e inesplorata.

Una domanda nasce spontanea sul rapporto tra il Festival e Martina Franca. Perché è stata scelta Martina Franca e come si è radicato il Festival in questa città?

I nomi associati alla nascita del Festival sono tanti, parliamo soprattutto di personalità del mondo politico, culturale, sociale e imprenditoriale di quel territorio negli anni ’70, ma c’è un nome a cui credo si debba far risalire l’origine del Festival: Paolo Grassi. Grassi, che è stato sovrintendente della Scala, presidente della Rai, fondatore nonché direttore del Piccolo Teatro di Milano, era originario di Martina Franca. Immaginiamoci cosa poteva essere il Mezzogiorno, l’interno della Puglia, nei primi anni 70. Paolo Grassi partì dalla constatazione di una realtà ambientale e architettonica che sapeva unire il contesto della Valle d’Itria, di valore unico, senza paragone nel nostro Paese, con quello di un centro urbano, storicamente molto vitale, strategico. Il nome stesso Martina Franca racconta di un centro urbano che godeva in passato di privilegi unici, un crocevia straordinario per la via che collegava Adriatico e Ionio, nord e sud della penisola pugliese, e un contesto architettonico urbano di centro storico che era ed è oggi più che mai un esempio sorprendente di barocchetto napoletano, pugliese. Paolo Grassi ebbe l’intuizione di un cosiddetto “teatro diffuso”, cioè che la città stessa potesse diventare palcoscenico e potesse offrire diversi palcoscenici a delle proposte che fossero di teatro di ricerca. L’ulteriore intuizione di Paolo Grassi, che condivise subito con Rodolfo Celletti e con il sindaco di allora Franco Punzi, che è tuttora il presidente del Festival, fu quella di trovare una specificità. E fu trovata quella del belcanto italiano, riallacciandosi anche naturalmente alla grande scuola pugliese e napoletana che per tutto il ‘700 aveva dato al mondo intero i più grandi musicisti di quell’epoca.

È un festival molto sentito dalla popolazione, della città di Martina Franca? Come è accolto? Possiamo dire che si è consolidata una tradizione per la popolazione locale?

La tradizione è fortissima e va detto che negli ultimi anni specialmente nelle settimane del Festival Martina Franca e l’area limitrofa registrano il tutto esaurito, a livello ricettivo, alberghiero e di tutte le possibilità che oggi si sono sviluppate, dal b&b alla masseria ristrutturata e diventata hotel o residenza di lusso. Questo è il segno che il Festival ha saputo trasformare quel territorio, già di per sé straordinariamente ricco di potenzialità ambientali, paesaggistiche, enogastronomiche, anche in un polo d’attrazione per il turismo culturale, che in effetti porta a Martina Franca tutti gli anni migliaia di appassionati da tutta Europa. È stato fatto e viene fatto continuamente un lavoro molto paziente di convincimento sulla popolazione locale che il Festival non è un’occasione per pochi privilegiati o per persone che possono permettersi di assistere a degli spettacoli o che hanno gli strumenti per potersene interessare. Certo non aiuta il fatto che sia un festival non di repertorio; probabilmente se facessimo Aida, Turandot e La traviata sarebbe più facile eliminare questo preconcetto. Facendo opere barocche, opere settecentesche e ottocentesche, in prima esecuzione, titoli desueti, dimenticati, mai fatti o non sempre di facilissima fruizione per il grande pubblico, la frantumazione di questo pregiudizio è un po’ più lenta e un po’ più difficile. Molto è stato fatto in questi ultimi anni in questa direzione, tra cui aprire le prove generali ai giovani under 30 di Martina Franca, a cui viene fatto un piccolo discorso introduttivo di guida all’ascolto. Così i giovani locali cominciano finalmente a sentire quel Festival come loro patrimonio, un’occasione per aprire le porte della città al mondo. Il Festival sta diventando, negli anni, un fantastico laboratorio, in cui i giovani locali, frequentando il Festival, possono riconoscere in se stessi delle predisposizioni, dei talenti anche artistici, come sempre più spesso si verifica. Moltissimi giovani di Martina Franca hanno deciso di studiare teatro, di studiare danza, di studiare musica; e questo anche grazie alle attività della Fondazione Paolo Grassi, che per tutto l’anno svolge la sua attività di ricerca, di laboratori, di formazione, di divulgazione, di concerti, di teatro, di letteratura, di poesia, di fotografia.

Che tipo di pubblico richiama il Festival?

Il pubblico più rappresentativo è quello tipico del turismo culturale, soprattutto un pubblico internazionale. C’è anche una buonissima fetta di pubblico italiano, che frequenta i festival estivi di musica e di teatro. E poi devo dire che c’è una percentuale non trascurabile di pubblico locale. 

Oltre all’originalità del nuovo allestimento di Barbiere, le altre opere in cartellone presentano delle peculiarità?

Certamente! A partire dal Rinaldo di Händel che, in piena adesione alla identità del Festival, viene riproposto in una edizione totalmente inedita, che addirittura sarebbe stata perduta, e che invece, grazie al lavoro di un musicologo molto attento e molto tenace, è stata ricostruita. Verrà allestita la versione del capolavoro di Händel come andò in scena a Napoli nel 1718, cioè sette anni dopo la prima di Londra, diventando più che il trasferimento di una grande opera di Händel a Napoli, l’occasione di un pastiche, un genere estremamente in voga e popolare all’epoca. Il famosissimo castrato Grimaldi, detto Nicolini, porta la partitura a Napoli, depositandola nelle sapienti mani di un grande musicista di riferimento in quegli anni a Napoli: Leonardo Leo. Leo, sfogliando la musica si rende immediatamente conto del capolavoro e delle potenzialità dell’opera e pensa subito come adattarla al gusto del pubblico di Napoli. In primo luogo, aggiunge due personaggi buffi. Il pubblico infatti cominciava ad essere un po’ stanco dai drammi, dalle opere serie, schematiche, dove i protagonisti erano sempre personaggi altolocati, mitici, leggendari, inavvicinabili, inarrivabili. Proprio in quegli anni si cominciava invece a presentare sulle scene il modello di un teatro comico, non in lingua dialettale, non napoletana, con personaggi popolani che si prendevano gioco dei nobili o degli aristocratici. Nasceva così la commedia per musica. E l’usanza fu quella sempre più di contaminare l’opera seria con intermezzi buffi. Questi intermezzi si rivelarono subito come una fonte di successo incredibile. Sempre nel 1718 va in scena, ancora una volta a Napoli, Il trionfo dell’onore, l’opera che noi quest’anno facciamo in Masseria, che è proprio l’esempio più rappresentativo di commedia in musica; anzi molti la considerano come la prima vera commedia in musica della storia dell’Opera. Ci è sembrato utile e interessante mettere in scena nello stesso cartellone il dramma serio handeliano contaminato dalla scuola napoletana con la prima commedia per musica napoletana, scritta da Scarlatti, in lingua italiana e non napoletana, che ha all’interno quella che poi Goldoni nel teatro settecentesco, nel teatro di prosa, trasformerà nella commedia umana.

Anche l’opera in masseria è una peculiarità del Festival?

È una specialità del nostro festival, una nostra invenzione che ogni anno trova un pubblico sempre più convinto e sempre più entusiasta; è un’occasione fantastica per sentire musica e per vivere un’esperienza teatrale in un contesto architettonico incredibile, in piena campagna, in queste ville/fattorie del seicento e settecento, ristrutturate, sotto le stelle. Un’altra novità di quest’anno è che l’opera di Scarlatti verrà suonata con strumenti d’epoca.

Come possiamo definire il belcantismo?

La definizione più significativa e a cui io faccio sempre riferimento è quella di Rodolfo Celletti. Il belcanto è quella particolare forma di teatro musicale che si può leggere come un rigorosissimo sistema di filosofia estetica, in cui il modo di esprimere il contenuto è più importante del contenuto stesso. In altre parole, il belcanto presuppone un bagaglio tecnico e una consapevolezza stilistico-estetica per l’interprete che gli consente di divenire lui stesso coautore e di tradurre quello che l’autore aveva lasciato come codice scritto in forma sintetica, dando per scontato una serie di possibilità esecutive che all’epoca erano date per assodate, per note, per patrimonio, e che oggi invece richiedono un approfondimento, uno studio per essere riproposte tali quali. L’altra caratteristica fondamentale che definisce il belcantismo o il belcanto è quella della sua visione estremamente astratta e distaccata da quella che è la realtà del sentire e del sentimento. Al compositore, all’autore e quindi all’interprete belcantistico non interessa minimamente imitare la concretezza del sentimento, interessa sublimarla, trasformarla in un simbolo completamente astratto, codificato, riconoscibile in base a un abbecedario, a un sistema di riferimento all’epoca condiviso, che affondava le sue radici nella poetica degli affetti monteverdiana. È un codice di assoluta astrazione, che gioca anche molto sull’ambiguità ad esempio dei ruoli sessuali. Il castrato poteva rappresentare, con la sua voce assolutamente asessuata e androgina, completamente svincolata dalla natura quotidiana della voce umana, personaggi i più disparati tra loro. Anche certi eccessi di registri o certi passaggi di abilità virtuosistica acrobatica non erano mai però fini a se stessi: erano sempre rigorosamente riconducibili a un codice, a un patrimonio condiviso. Oggi la scuola del belcanto è una scuola di cui si sono smarrite le tracce. A causa di ragioni storiche: man mano che l’urgenza della realtà del sentire e dell’imitazione del reale hanno preso il sopravvento nella storia dell’Opera, la voce umana, appunto per essere più aderente possibile alla tangibilità del sentimento, si è dovuta spingere su emissioni sempre più vicine a quelle della quotidianità, e quindi fino ad arrivare al declamato, all’urlo, al grido, come se non ci fosse alcuna differenza fra la finzione del teatro e la realtà. Inoltre, questo cambiamento, questa evoluzione di gusto ha fatto perdere completamente memoria della tecnica belcantistica, perché spingendo la voce umana su quel declamato, gonfiandosi le orchestre, gli organici e aumentando le sonorità, la tecnica ha dovuto adattarsi a finalità espressive completamente diverse, completamente all’opposto dell’astrazione cristallina del belcanto. Siamo dovuti arrivare agli anni ’70, con Celletti e Martina Franca, poi Pesaro e Rossini, la renaissance barocca del Nord Europa per porci la domanda: ma come si cantava nel ‘600 e nel ‘700? Qual era la tecnica? Il dibattito è ancora aperto, però è un fatto culturale, estetico, filosofico estremamente significativo e complesso.

Questo slideshow richiede JavaScript.

Informazioni e programma completo del Festival all’indirizzo www.festivaldellavalleditria.it




La Cavalleria Rusticana di Diamond Opera

Con Cavalleria Rusticana si apre la stagione lirica del Teatro San Babila di Milano. Cavalleria Rusticana è un’opera in un solo atto, capolavoro di Pietro Mascagni su libretto di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci, a sua volta tratto dal racconto di Giovanni Verga. L’opera vinse il concorso indetto dalla casa musicale Sonzogno e andò in scena per la prima volta al Teatro Costanzi di Roma il 17 maggio 1890 e da allora  è una fra le opere più rappresentate al mondo. Sul palco, in una scenografia essenziale, si muovono i protagonisti della tragedia d’amore e gelosia: Santuzza folle d’amore per Turiddu a sua volta invaghito di Lola legata invece ad Alfio. Sullo sfondo Mamma Lucia oltre alla costante presenza del coro e del corpo di danza.

La stagione, è firmata dalla  “Diamond Opera Management”, agenzia teatrale di Boston specializzata nell’allestimento di spettacoli operistici negli Stati Uniti e in Europa. L’approdo nella patria del bel canto con quattro serate, è una vera e propria sfida, affidata tra l’altro alle doti vocali di un soprano italiano, Laura Ansaldi, una delle più interessanti e talentose voci dell’opera a livello internazionale. Una vocalità intensa ed estremamente versatile, un profilo artistico completo anche a livello attoriale, ed una eccellente presenza scenica. Accanto a Laura Ansaldi, che coprirà il ruolo di soprano protagonista in tutti gli spettacoli, si alterneranno interpreti come Valter Carignano e Giorgio Casciarri e direttori dì orchestra come Roberto Gianola e Paolo Marchese. La regia di Heiko Kobayashi Laval offre una prospettiva  moderna e innovativa agli spettacoli proposti.

Il ciclo di spettacoli vuole proporre una panoramica dell’evoluzione del melodramma italiano nel suo “secolo d’oro” attraverso scelte drammaturgiche ed espressive molto diverse: si inizia il 10 febbraio con la grande stagione del verismo e con “Cavalleria Rusticana” di Mascagni; si prosegue il 3 marzo con “Don Pasquale” di Donizetti che rappresenta la raggiunta maturità della scuola italiana e nel contempo offre un esempio di “opera buffa” a lieto fine; mentre a Giuseppe Verdi sarà dedicata, il prossimo 28 aprile una selezione delle sue arie più celebri con “Verdissimo” una selezione delle sue arie più celebri e il 19 maggio “Tosca” si passa al Puccini più lirico e drammatico.e

 

 




Rigoletto, il castello di Mantova prende vita in Arena

Entrati in Arena a Verona per la messa in scena del Rigoletto, il primo colpo d’occhio è la fedele riproduzione del Castello di Mantova che prende vita sulle gradinate dell’Anfiteatro preceduto da grandi pannelli in cui sono riproposti gli affreschi della “Camera degli Sposi”.  Ed è subito magia, un incanto che riporta ad altri luoghi ed altre epoche. L’allestimento è certo ultratradizionale forse un po’ antiquato volendo, ma per una volta, è bello non doversi soffermare sui significati reconditi di scelte artistiche peculiari e lasciarsi trasportare dalla musica di Giuseppe Verdi, dalla tragica storia del Rigoletto, il buffone di corte “esternamente difforme e ridicolo-  nelle parole di Verdi -, e internamente appassionato e pieno d’amore”,  e dall’immenso spettacolo realizzato per il Festival per questa nuova stagione, considerata quella della rinascita dopo le difficoltà finanziarie che, lo scorso anno, avevano fatto temere il peggio.tn_0207_Rigoletto_FotoEnnevi_032_20170701

credito: ©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona
credito: ©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

credito: ©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona
credito: ©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

La regia è di Ivo Guerra, le scene di Raffaele Del Savio ed i costumi di Carla Galleri. Sul podio Julian Kovatchev. In scena il baritono mongolo Amartuvshin Enkhbat (1 – 6 luglio), già vincitore di numerosi concorsi internazionali e, con il Rigoletto, al suo debutto in Arena, che si alterna nel ruolo con  Carlos Álvarez (14 e 19 luglio) e Leo Nucci (27 luglio), Rigoletto per eccellenza tanto che, solo a Verona è stato buffone alla Corte del Duca di Mantova per 45 volte. Il ruolo Duca di Mantova è di Gianluca Terranova (1 e  27 luglio), Francesco Demuro (6 luglio) e Arturo Chacón-Cruz (14 e 19 luglio), mentre Gilda è interpretata da Elena Mosuc (1 luglio), Jessica Pratt (6/7), Ekaterina Siurina (14 e 19 luglio),  e Jessica Nuccio (27 luglio).

tn_0207_Rigoletto_FotoEnnevi_138_20170701tn_0207_Rigoletto_FotoEnnevi_154_20170701

 

La lettura del regista Ivo Guerra  è fedele al libretto e prende ispirazione dalla prima rappresentazione areniana di Rigoletto del 1928, come omaggio ai grandiosi allestimenti dei primi festival lirici. L’allestimento de Il Rigoletto di Guerra è andato in scena per la prima volta nel 2003, per essere e poi ripreso nel 2004, nel 2008 e nel 2013. Raffaele Del Savio riproduce sulle gradinate areniane l’aspetto rinascimentale della città di Mantova, incorniciando i ricercati costumi cinquecenteschi ricreati da Carla Galleri. Da 1928 in poi in Arena sono stati comunque ben 10 gli allestimenti del Rigoletto, per un totale di rappresentazioni che, già ora, sfiora le 100 rappresentazioni. Si tratta, in effetti, della settima opera più rappresenta nell’anfiteatro  romano e sempre con un enorme successo di pubblico: sabato 1 luglio sulle gradinate non c’era un posto libero e c’èe da scommettere che il sold out sarà bissato nelle prossime repliche. D’altro canto lo stesso Verdi parlava del Rigoletto come della sua “opera migliore”. Il titolo, insieme a Il Trovatore e a la Traviata, appartiene alla triologia popolare dell’autore di Busseto ed è assolutamente godibile per un pubblico non solo di melomani. Al di là delle voci, e in particolare di quelle di Enkhbat  e Terranova, il Rigoletto entrata  un’opera nella memoria collettiva di ogni italiano che ne conosce ogni dettaglio della storia , di nascosto, ne canticchia e arie più note da “Bella figlia dell’Amore” a “Vendetta tremenda vendetta”.   Senza poi considerare che lo spettacolo in Arena è travolgente tra l’allestimento grandioso della Mantova Rinascimentale, i costumi da Oscar e l’uso massiccio e coreografico di comparse, coro e balletto.

tn_0207_Rigoletto_FotoEnnevi_141_20170701tn_0207_Rigoletto_FotoEnnevi_117_20170701

credito: ©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona
credito: ©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Purtroppo ci sono solo altre quattro opportunità per assistere, in Arena, al Rigoletto che è proposto per la 95° edizione dell’Opera Festival, il 6, 14, 19 e 27 luglio alle 21.00. I biglietti per le gradinate partono da 22 euro. Insomma è un’occasione da non perdere:

 

 

 

tn_0207_Rigoletto_FotoEnnevi_070_20170701tn_0207_Rigoletto_FotoEnnevi_050_20170701tn_0207_Rigoletto_FotoEnnevi_154_20170701




Un’estate a tutto Festival

I Festival dell’estate 2017 offrono un’ottima occasione per ascoltare buona musica, divertirsi e trascorrere giornate di vacanza alla scoperta di mare, montagna e luoghi d’arte.

Verona – L’Arena Opera Festival, giunto ormai alla sua 95° edizione, prende il via il 23 giugno con l’attesa nuova produzione del Nabucco di Giuseppe Verdi. In cartellone sono stati previsti cinque titoli d’opera e tre serate di gala per un totale di 48 serate da non perdere. La magia di una notte in Arena è divenuta un appuntamento irrinunciabile nell’estate italiana grazie alle voci più belle a livello internazionale, all’orchestra e al corpo di ballo dell’Aerea, oltre alle centinaia di figuranti che animano la rappresentazione e, ovviamente, alla suggestione di vivere le opere più belle nell’antico anfiteatro romano. E per il dopo Festival niente di meglio di un giro sul lago di Garda per rinfrescarsi, a 15 minuti di distanza via treno o, se il meteo è clemente , l’esplorazione delle meraviglie artistiche della città di Romeo e Giulietta, tra piazze rinascimentali, vestigia romane e meravigliose chiese dentro cui sono custoditi tesori troppo spesso dati per scontati.

Macerata – il Macerata Opera Festival allo Sferisterio (21 luglio-14 agosto) diretto da Francesco Micheli. Il Festival prende il via il 21 luglio con la Turandot.  Macerata, nell’entroterra marchigiano, offre poi l’opportunità di esplorare percorsi d’arte e avventurarsi in itinerari enogastronomici particolarmente gustosi.

St Moritz -10° Festival da Jazz (6 – 31 luglio 2017) Una località di montagna famosa per la sua bellezza paesaggistica e la sua ospitalità, una location prestigiosa, un’atmosfera magica: tutto ciò fa di Festival da Jazz un evento davvero speciale, che riunisce a St Moritz, artisti di assoluto rilievo internazionale che si esibiscono al Dracula Club, ambirete raccolto ed esclusivo ideale per favorire un feeling immediato fra musicisti e pubblico. Ai concerti al Dracula Club si aggiungono gli appuntamenti al Miles Davis Lounge del Kulm Hotel e quelli gratuiti sulla terrazza dell’Hotel Hauser e sul Muottas Muragl, per oltre 50 eventi musicali complessivi.

Dolomiti – I suoni delle Dolomiti (7 luglio-31 agosto) 24 appuntamenti gratuiti ambientati su palcoscenici naturali incantevoli: prati, conche, palcoscenici naturali che accolgono musicisti provenienti da tutto il mondo che si esibiscono in ogni genere musicale, dal jazz alla classica, dalla world music alla canzone d’autore. I luoghi dei concerti sono nelle vicinanze di rifugi alpini, malghe e vette così ogni appuntamento diventa anche occasione per godere il piacere di un’intera giornata in quota, provando l’ospitalità delle terre alte, i piatti della gastronomia, o semplicemente cercando il relax e il divertimento con la famiglia e gli amici.Oltre ai concerti delle 13, l’edizione 2017 propone due concerti all’alba, un trekking e un nuovo progetto speciale, un festival nel festival, la Campiglio special week, per animare cime e fondovalle assieme ad importanti musicisti internazionali. Il festival prende il via con Magie d’archi in alta quota, i 12 violoncellisti dei Berliner Philarmoniker, al rifugio Fuciade in Val di Fassa, che eseguiranno brani da Boris Blacher, Julius Klengel, Astor Piazzolla, José Carlia.

 

Pesaro –  la 37° edizione del Rossini Opera Festival di Pesaro (10-22 agosto) sarà inaugurata da La siège de Corinthe diretta da Roberto Abbado e su allestimento de La Fura dels Bauls. Gli appuntamenti possono essere un’occasione per avventurarsi alla scoperta della regione e del suo mare: la stessa Pesaro è non solo città arte, natura (con l’oasi di San Bartolo), ma vanta una bandiera blu per il suo mare incontaminato.

Lucca- Il Lucca Summer Festival, giunto alla sua 20° edizione, prende il via il 14 giugno con un concerto da non perdere: quello dei Green Days, La rock band autrice dell’album cult “American Idiot”. Il Festival porta la musica nelle piazze di una delle città più suggestive della Penisola: Piazza Napoleone, all’interno del Centro Storico di Lucca. Grandi star nazionali ed internazionali si esibiranno nel corso di uno degli eventi più “hot” dell’estate italiana. Attesi, tra gli altri, l’8 luglio – Ms Lauryn Hill; il 9 luglio – Ennio Morricone “The 60 years of music tour”; il  15 luglio – Robbie Williams e il 31 luglio i Pet Shop Boys. E per il dopo Festival niente di meglio di un po’ di relax sulle spiagge della Versilia.

 

Barolo -Collisioni (14-17 luglio). Il Festival agri-rock si celebra nel cuore delle Langhe, un territorio ideale dove apprezzare un emozionante scenario naturale e i piaceri della buona tavola che da sempre contraddistinguono l’area. Collisioni, la grande festa popolare di letteratura e musica in collina,
vede la partecipazione ogni anno di tanti scrittori e musicisti provenienti da tutto il mondo. In arrivo tra le colline piemontesi il  15 luglio Daniele Silvestri, Carmen Consoli e Max Gazzè; il 16 luglio i Placebo e il 17 luglio Robbie Williams. I concerti hanno luogo nella piazza principale del paese, un anfiteatro naturale circondato dalle vigne storiche dei cinque “grandi crus” del vino Barolo. Oltre alle star della scena musicale italiana e internazionale, per quattro giorni il paese diventa un palcoscenico che ospita dibattiti con premi Nobel, scrittori, giornalisti, attori, in un’atmosfera informale, di dialogo costante con il pubblico.

Torre del Lago –  Puccini Festival. La 63° edizione del Festival del più moderno compositore d’Opera prende il via il 14 luglio con la Turandot e prosegue proponendo i grandi classici pucciniani fino a fine agosto. In calendario: La Rondine, La Boheme, La Tosca e Madama Butterfly.  Tra un’opera e l’altra il mare della vicina Viareggio costituisce un’attrazione irresistibile.

Salento – La Notte della Taranta  Per tutto agosto il salentino sarà pervaso dal Festival della Taranta, festival itinerante dedicato alla valorizzazione ed al recupero della pizzica salentina, giunto ormai alla sua 13° edizione. Comen da tradizione il festival si chiuderà a fine mese a Melpignano. Il concerto di chiusura  quest’anno sarà diretto dal maestro concertatore Ludovico Einaudi.




La Traviata di Liliana Cavani torna alla Scala

Torna alla Scala La Traviata firmata da Liliana Cavani con le scene di Dante Ferretti e i costumi disegnati da Gabriella Pescucci, spettacolo realizzato per l’inaugurazione della stagione del 1990. L’opera di Giuseppe Verdiandrà sarà in scena dal 28 febbraio al 14 marzo. Dirige Nello Santi, il patriarca della tradizione operistica italiana che alla Scala ha diretto solo una Madama Butterfly nel 1972. Grande l’attesa per il cast de La Traviata: nella parte di Violetta si alternano Ailyn Perez (28 febbraio, 3 e 5 marzo) e Anna Netrebko (9, 11 e 14 marzo); Francesco Meli è Alfredo Germont e Leo Nucci Giorgio Germont.

All’apertura delle vendite e La Traviata, lo scorso 28 dicembre, l’intera disponibilità è stata assorbita in poche decine di minuti. In questo momento restano soltanto gli ingressi in galleria in vendita il giorno di ciascuna recita.

Peraltro, per chi non avesse ancora conquistato un biglietto per La Traviata, domenica 26 febbraio alle 19 va in scena una anteprima dell’opera davvero speciale. L’incasso infatti sarà devoluto a sostegno alle popolazioni delle regioni colpite dal terremoto. I biglietti saranno posti in vendita – a metà prezzo rispetto alle rappresentazioni ufficiali – sabato 11 febbraio dalle ore 9:00 presso la Biglietteria centrale (Galleria del Sagrato, MM Duomo) e dalle ore 12:00 sul sito