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I profumi che hanno fatto la storia: LA MAISON GUERLAIN

di Claudia Marchini

Da quasi due secoli, cinque generazioni di profumieri Guerlain hanno tenuto le redini creative della Maison. Oggi, il Maître Parfumeur Thierry Wasser è erede di un patrimonio olfattivo di oltre 1100 fragranze. Guerlain è uno dei pochissimi marchi che è esistito per anni producendo e commercializzando esclusivamente profumi, a cui soltanto in anni più recenti sono state aggiunte alcune linee di cosmetici.

Era il 1828 quando Pierre-François-Pascal Guerlain, profumiere e chimico, il fondatore della Maison, inaugurava la sua prima boutique nel cuore di Parigi, al numero 42 di rue de Rivoli. L’indirizzo diventa immediatamente una meta imprescindibile per i dandy e le donne eleganti della città e non solo. La fama e il successo della Maison Guerlain raggiungono presto tutte le corti d’Europa. 

Potremmo parlare per ore ricordando tutte le meravigliose creazioni della Maison: da Jicky, che risale al 1889 e che – inizialmente creata per il pubblico maschile – ebbe la sua maggior fortuna quando venne commercializzata per il pubblico femminile, a Après l’ondée, leggendaria fragranza del 1906 che simula l’odore dell’aria dopo la pioggia; da Vetiver a Samsara; da Champs-Elysées alla fresca serie delle Aqua Allegoria.

Sono 3 però secondo noi le fragranze che un appassionato non può non conoscere, perché sono emblematiche del periodo storico in cui furono create oppure perché rappresentarono un punto di rottura col passato.

La prima è L’Heure Bleu, creata da Jacques Guerlain nel 1912 per celebrare il suo momento preferito della giornata. L’ora blu è quel momento fra il giorno e la notte, all’imbrunire: il sole è già tramontato, ma la notte non è ancora arrivata. È l’ora in cui il tempo si ferma… L’ora in cui ci troviamo in armonia con il mondo e con la luce. La fragranza fu creata in omaggio alla moglie Lily e divenne, durante la guerra, simbolo di femminilità. Fazzoletti imbevuti di profumo furono distribuiti ai soldati in trincea per sollevare il loro morale.

Il design del flacone in stile Art Nouveau è stato creato da Georges Chevalier e realizzato dalle cristallerie Baccarat.

La violetta è in grande spolvero, insieme ai semi di anice, eliotropio, neroli e tuberosa in questo capolavoro crepuscolare, cipriato, con una leggerezza tutta parigina e – qualcuno dice – con una vena di tristezza e melanconia. E’ un profumo da budoir, che sembra dare l’addio – forse con un po’ di rimpianto – a quella Belle Epoque che stava per terminare.

E’ del 1919 il secondo capolavoro di Jacque Guerlan: Mitzouko. E’ proprio in quell’anno infatti che l’Europa si appassiona al Giappone e alla sua storia e cultura, e la parola Mitsouko è il nome dell’eroina del racconto di Claude Farrère, La bataille. La storia, ambientata in Giappone durante la guerra russo-giapponese, racconta l’amore impossibile fra un ufficiale inglese e Mitsouko, la moglie dell’ammiraglio Togo. Nonostante l’ispirazione sia il tema dell’adulterio, questo profumo non ha nulla di provocante: la sua composizione non contiene accordi romantici e tradizionalmente femminili, ma è piuttosto cupo e intenso, totalmente unisex, ancorché soffice come un cuscino di velluto verde scuro.

Mitsouko, che significa ‘mistero’ in lingua giapponese, è dunque il simbolo di una nuova femminilità, appassionata e misteriosa.

Una nuova fragranza, originale ed equilibrata, misteriosa e vellutata, che apre la strada alle composizioni fruttate-chypre, utilizzando per prima la nota di pesca. Quest’ultima è abbinata a fiori di gelsomino e rosa di maggio, mentre il fondo combina spezie ad un terroso patchouli, al vetiver e al legno di aloe. L’idea, eccezionale e audace, di Jacques Guerlain fu di unire un chypre (Chypre è una famiglia di profumi composti da note di testa agrumate, un cuore fiorito ed un fondo animale/muschiato) con la nota decisamente marcata della pesca, conferendo a questo profumo il suo caratteristico tocco moderno.

Anche questa fragranza non ha mai smesso di essere prodotta e venduta, diventando quindi una delle più antiche che ci siano in commercio.

Infine, ultimo di questo tris di stelle della profumeria (ma solo perché più recente, essendo stao creato nel 1925) è il celeberrimo Shalimar. Questo profumo è diventato da tempo ormai il punto di riferimento della famiglia olfattiva degli Orientali, gruppo di profumi marcatamente caldi ed opulenti a causa dei molti ingredienti inebrianti (muschio, vaniglia, spezie, fiori, frutti, resine e legni), che si innestano su un fondo di ambra.

Si racconta che Jacques Guerlain abbia creato il profumo Shalimar in omaggio alla leggendaria storia d’amore ambientata nel XVII secolo tra Mumtaz Mahal e l’imperatore Shah Jahan nei giardini di Shalimar ad Agra in India. Quando la donna morì, l’imperatore devastato dal dolore, decise di costruirle una tomba nel punto in cui, 14 anni dopo, sorse il Taj Mahal.

Questo jus femminile, sensuale, voluttuoso e ipnotico – Shalimar significa letteralmente “tempio dell’amore” – fu presentato al pubblico nel 1925 all’Esposizione delle Arti Decorative a Parigi, al Grand Palais. In seguito al successo ottenuto a bordo del transatlantico Normandie, in occasione di una traversata verso New York di Raymond Guerlain (cugino di Jacques) e di sua moglie, Shalimar venne lanciato in anteprima negli Stati Uniti.

Ed è proprio Raymond che disegna la bottiglia di Shalimar, ispirandosi alle vasche di quei giardini, con l’inconfondibile tappo a forma di ventaglio e la “trasparenza di zaffiro che ricorda le loro acque eternamente zampillanti”.

Il profumo – sfacciatamente sensuale – si apre con note di mandarino, cedro, bergamotto (questo ingrediente occupa il 30% della fragranza) e limone, matura in accordi di iris, patchouli, gelsomino, vetiver e rosa e si chiude in un fondo di cuoio, sandalo, opoponax, muschio animale, zibetto, vaniglia, incenso e fava tonka. Questo contrasto tra il preludio pungente di penetranti note agrumate, il cuore fiorito e il fondo caldo e sensuale è ciò che fa di questo profumo una delizia imperitura.

Nonostante le sue note dolci, questa fragranza non ha nulla di stucchevole e sdolcinato, come ben sottolineò Ernest Beaux, creatore del mitico Chanel N°5 (vedi la prima puntata della serie dedicata ai profumi che hanno fatto la storia): “Con questo pacchetto di vaniglia, sarei stato in grado di creare soltanto una crema pasticcera, mentre lui, Jacques Guerlain, creò Shalimar”. Fu un jus talmente vincente che oltre a essere ancora attuale è stato di ispirazione nella creazione di capolavori olfattivi quali, per citarne alcuni, L’Instant de Guerlain, Obsession di Calvin Klein e Opium di Yves Saint-Laurent.

 

 




UN PROFUMO, UNA LEGGENDA: CHANEL N° 5

I profumi che hanno fatto la storia.

di Claudia Marchini

“Non c’è nulla che invecchi tanto quanto il voler sembrare giovani. Si può essere irresistibili a qualunque età”. Così sentenziava Coco Chanel, e certamente una delle sue più fortunate creazioni – il mitico Numéro Cinq (accento sulla “e”, s’il vous plaît, e arrotiamo bene quella “r”) – i suoi 101 anni non li dimostra affatto. Ciò è corroborato anche dal fatto che rimane uno dei profumi più venduti al mondo (forse proprio il più venduto); si dice che venga venduta una boccetta di N° 5 ogni 30 secondi.

Perciò, questa serie di articoli che parla dei profumi che hanno fatto la storia e che ogni appassionato dovrebbe conoscere non può non aprirsi proprio con questa mitica fragranza, prototipo dei profumi cosiddetti “aldeidati” e composto nel 1921 da Ernest Beaux, profumiere della società Rallet.

Fino ad allora i profumi erano principalmente “soliflore”, cioè basati sull’essenza di un solo fiore (di solito rosa o mughetto), molto romantici e leggeri e dalla durata limitata, perciò dovevano essere dosati in gran quantità per poter durare a lungo. Quando Coco cominciò  a pensare di lanciare una sua fragranza, il suo stile anticonvenzionale la portò a chiedere a Beaux una fragranza costosa, lussuosa, elaborata, provocante, senza mezze misure. Basti pensare che il bouquet di muschio e gelsomino (cuore del jus composto da Beaux) all’epoca era associato a cortigiane e prostitute!

Non solo: proprio in quegli anni si erano affacciate nel mondo della profumeria le famose aldeidi. Ma cosa sono? Le aldeidi sono sostanze presenti in natura, che ai primi del Novecento cominciano ad essere sintetizzate in laboratorio per dare luminosità ed effervescenza da champagne alle formule dei profumi. Beaux pensò di inserire una di queste aldeidi (dal sentore di arancia) nella formula del nuovo profumo per Coco Chanel, e iniziò a sperimentarle con parsimonia. Ma la grande stilista, in pieno suo stile, gli ordinò di abbondare: fiumi di champagne perbacco, non lesiniamo!!!

Il risultato fu un profumo totalmente nuovo, che non assomigliava a nessun’altra fragranza passata né dell’epoca. Un’overdose talmente audace non poteva passare inosservata, e la grande stilista ne comprese infatti subito le grandi potenzialità commerciali e non esitò a scegliere proprio quel quinto prototipo che il profumiere le aveva sottoposto – da qui pare il nome che fu scelto, N°5 (e anche il fatto che fu lanciato nel mese di maggio).

 (la prima immagine nota di Chanel N° 5)

L’iconica boccetta di Chanel N°5, che dal 1954 fa parte delle collezioni permanenti del MOMA di New York, non è altro che una semplice confezione da laboratorio, alla quale vennero smussati gli angoli, e cambiato il tappo. Questo, infatti, venne sostituto con un tappo tagliato come un diamante, che riproduce la forma della celebre Place Vandôme a Parigi, famosa per le sue gioiellerie e tanto cara a Coco Chanel.

Il flacone di Chanel No. 5, nel corso degli anni, è diventato un oggetto talmente identificabile che Andy Warhol decise di commemorare il suo stato di icona a metà degli anni ottanta con l’opera pop art intitolata “Ads: Chanel”, una serie di serigrafie ispirate a pubblicità del profumo apparse fra il 1954 e il 1956.

Il resto è storia. Non solo N° 5 è il profumo più venduto della storia, ha anche ispirato un filone e una sottofamiglia olfattiva (quella dei fioriti aldeidati per l’appunto) e dato il via ad una serie innumerevole di imitazioni.

Arrivati all’epoca della guerra, il profumo aveva ottenuto un successo tale fra le classi abbienti e come status symbol per quelle medie, che i soldati americani a Parigi facevano file di ore per portarsi a casa un flacone che ricordasse loro l’idea dell’eleganza e del lusso europei.

Dopo la guerra, la più grande testimonial della fragranza è stata Marilyn Monroe. Durante un’intervista nel 1952, l’attrice dichiarò: “Cosa indosso a letto? Che domande… Chanel N. 5, ovviamente”. Questa affermazione di Marylin ebbe il potere di consacrarne il fascino, aggiungendo quell’aurea di glamour hollywoodiano che ne fece un successo globale.

Un successo tale che qualche anno dopo, nel 1955 Marilyn accettò di lasciarsi fotografare da Ed Feingersh, poco prima della première del film La Gatta sul tetto che Scotta di Tennesee Williams, proprio mentre “indossava” guardandosi allo specchio alcune gocce del prezioso Chanel N.5.

E così, di decade in decade, questo rivoluzionario profumo è diventato un grande classico, mai dimenticato ma anzi sempre più amato: i testimonial e le pubblicità si sono adattati al gusto di ogni epoca ma la fragranza è sempre lì, scolpita nell’Olimpo della profumeria mondiale.

Catherine Deneuve, Carole Bouquet, Nicole Kidman o attualmente Marion Cotillard sono tra le ambasciatrici che, con il loro spirito e la loro modernità, elevano N° 5 nell’eterno pantheon femminile per i posteri.

E infatti, in occasione della bellissima campagna lanciata l’anno scorso per i 100 anni della fragranza, Thomas du Pré de Saint Maur, Head of Global Creative Resources Fragrance and Beauty della Maison quota la mitica Coco: “La giovinezza è prima di tutto uno stato d’animo: è il desiderio di osare, di conservare la libertà di essere sé stessi al di là delle convenzioni, di non prendersi sul serio, di essere leggeri senza essere frivoli. Di avere l’audacia di preferire la giovinezza dell’immaginazione, alla vecchiaia dell’abitudine”.

Insomma: non si è mai troppo vecchi per una bella coppa di champagne!!!! SALUTE!!

(la classica boccetta)




Forever Crazy. Il Crazy Horse arriva a Milano

Luci soffuse, tavolini, bottiglie di champagne e sul palco bellissime ballerine che ammaliano e conquistano gli spettatori . Non è un sogno! Dal 20 al 24 giugno la sala del Teatro Nuovo di Milano si trasforma nel locale più glamour, affascinante e trasgressivo di Parigi: il Crazy Horse!

A distanza di quattro anni, torna a Milano l’eccezionale show che dagli anni Cinquanta conquista milioni di spettatori, e torna con il nuovo incredibile spettacolo  FOREVER CRAZY: sessantasette anni di creazione e follia concentrati in novanta minuti di incanto.

Forever Crazy” è uno show eccezionale grazie alla selezione dei numeri più famosi del cabaret più glamour di Parigi: dal leggendario “God Save Our Bareskin”, numero coreografato da un tenente dell’esercito britannico, che apre dal 1989 tutte le serate del locale parigino, fino alle recenti creazioni firmate dal coreografo Philippe Decouflé e dalla regina della lingerie chic Chantal Thomass.

Le performance sono esaltate da eleganti costumi, musiche originali, giochi di luci e proiezioni ad alta definizione. Il risultato è uno spettacolo unico, tra arte e divertimento, un caleidoscopio unico di bellezza, passione e precisione.

Crazy Horse presenta

Forevere Crazy

 

Teatro Nuovo di Milano 

piazza San Babila – Milano

dal 20 al 24 giugno 2018

ore 20.45  

venerdì 22 e sabato 23 giugno anche alle 23.15

Biglietti da 34.50€

www.teatronuovo.it




La moda entra nei musei del mondo

La moda va al museo e fa sold out. Negli ultimi mesi sono stati  inaugurati due musei dedicati a Yves Saint Laurent : uno a Parigi, nello storico atelier in Avenue Marceau dove trovano spazio le diverse creazioni dello stilista dallo smoking all’haute couture oltre a coloro a cui Saint Laurent si è ispirato (Henry Matisse e Pablo Picasso compresi),  e un altro nella città di elezione del couturier francese, Marrakesh, dove oltre a 5mila abiti, 15mila accessori, un  auditorium e una biblioteca, trova posto una libreria che  riproduce la prima boutique aperta a Parigi dall’artista.

Ma la danza infinita di creatività tra abiti e accessori, profumi e foto di passerella, prende numerose altre vie fino a raggiungere tutti i continenti.  Sono sempre più numerosi i musei del fashion e le mostre monotematiche dedicate a singoli stilisti o maison che hanno fatto la storia del settore e attraggono ormai più visitatori dei poli culturali più tradizionali. A dare il via al trend è stata “Savage Beauty” esposizione dedicata ad Alexander Mc Queen organizzata dal Metropolitan di New York nel 2011 (dove è presto diventata una delle mostre più viste di tutti i tempi con 650mila visitatori) e poi ospitata nel 2015 dal Victoria&Albert di Londra è stata vista da più di un milione di persone, eguagliando le mostre dei record generalmente dedicate agli impressionisti.

E non poteva che essere la Francia, la patria dell’haute couture, ad annoverare i maggiori musei che qui gode della stessa attenzione dedicata alle altre arti figurative. A Parigi il Musée Galliera (Musée de la Mode de la Ville de Paris) vanta oltre 70mila pezzi dal 1780 ad oggi, tra cui abiti appartenuti a Maria Antonietta e outfit indossati da Audrey Hepburn in “Colazione da Tiffany. Ad Albi, in Occitania, dopo un doveroso omaggio al cittadino forse più illustre, Henri de Toulouse-Lautrec, vale la pena cercare nelle vie del centro un museo che è un piccolo scrigno della moda dove ogni anno vengono allestite esposizione a tema grazie alla ricca collezione dai proprietari. Di particolare fascino anche il Museo delle arti decorative della moda e della ceramica di Marsiglia ospitato nel castello Borély, dove trovano posto 5600 capi, 1600 accessori e 100 profumi. In Europa sono da visitare anche le collezioni del Victoria & Albert Museum di Londra e il MoMu di Anversa che, inaugurato nel 2002, ospita principalmente i lavori degli stilisti belgi.

Particolarmente attento al fashion è anche il Giappone che vanta il Kyoto Costume Institute con oltre 12mila capi di abbigliamento (sorprendentemente) occidentali risalenti addirittura al 17° secolo e 16mila documenti (è aperta al pubblico solo una selezione); il Bunka Gakuen Costume Museum di Tokyo che punta a scoprire la cultura giapponese e internazionale attraverso l’abbigliamento; il Sugino Gakuen Costume Museum di Tokyo e il Kobe Fashion Museum. A New York infine sono le gallerie del Metropolitan a giocare da protagoniste e, in particolare, quelle dedicate alla sezione Constume Institute, tra le più frequentate del museo, grazie agli oltre 35mila capi di abbigliamento e accessori provenienti dai cinque continenti a partire dal 15° secolo.

E l’Italia? Nel Paesi dove la creatività è, da sempre protagonista,  non esistono musei statali centrati solo sulla moda. A Milano, capitale riconosciuta del prêt-à-porter,  Palazzo Morando, sede delle collezioni di Costume Moda e Immagine, ospita collezioni e allestimenti che vale  la pena esplorare nelle mostre che ciclicamente vengono allestite. Due anni fa poi  Giorgio Armani ha festeggiato i quarant’anni del brand inaugurando Armani/Silos, in Via Borgognone, uno spazio di 4.500 metri quadrati che si sviluppa su quattro piani proponendo una selezione ragionata di abiti dal 1980 a oggi. La selezione racconta la storia e l’estetica dello stilista ed è suddivisa per temi: al pian terra la sezione Stars e la sezione dedicata al Daywear, al primo piano la sezione Esotismi, al secondo piano, Cromatismi, al terzo e ultimo piano la sezione Luce. Sempre sotto la Madonnina la Fondazione Prada “ha scelto l’arte come principale strumento di lavoro e di apprendimento” e propone dibatti e percorsosi culturali per “arricchire la vita quotidiana, aiutarci a capire i cambiamenti che avvengono in noi e nel mondo”.

Tra i musei della moda che mostrano uno spaccato di made in Italy, vale la pena mettere in agenda ci sono anche:
– il Museo Boncompagni Ludovisi di Roma che vanta 800 pezzi tra abiti e accessori di alcuni dei brand storici più importanti come Fausto Sarli, Gattinoni, Angelo Litrico, Roberto Capucci e Valentino;
– il Museo Salvatore Ferragamo a Firenze, ospitato all’interno di Palazzo Spini Feroni, documenta l’intera storia della maison e delle creazioni del suo fondatore, “il calzolaio delle stelle”;
– il Museo della Fondazione Roberto Capucci ospitato a Firenze a Villa Bardini espone i dodici abiti-scultura confezionati in occasione della Biennale di Venezia del 1995;
– la Galleria del Costume di Firenze (dal 2016 Museo della Moda e del Costume), parte del complesso museale di Palazzo Pitti conta ben 6000 pezzi fra abiti antichi e moderni, accessori, costumi teatrali e cinematografici tra cui alcuni abiti di Eleonora Duse e di Donna Franca Florio e i vestiti funebri del granduca Cosimo de’ Medici e della sua famiglia;
– Il Museo Internazionale della Calzatura Pietro Bertolini, all’interno del Castello Sforzesco di Vigevano,  vanta un patrimonio complessivo di oltre 3000 pezzi;
– La Fondazione Ratti a Como ospita un museo del tessuto
-Palazzo Mocenigo a Venezia, ospita abiti del XVII e XVIII oltre al Museo del Profumo.

 

 

 

 




Le Capitali della Moda: il giro del mondo tra modelle e sfilate

Bond Street a Londra, Via Montenapoleone a Milano, gli Champs Elysees a Parigi, la Fifth Avenue a New York. Basta il nome a evocare un intero universo che definisce lo stile rappresentato da ciascuna delle quattro capitali della moda mondiale. E sì perché, nonostante le new entry come Berlino, Barcellona e Shangai siano ritenute dai protagonisti del settore particolarmente interessanti, sono ancora le “big four” a dettare legge, quanto meno nei trend da seguire nella moda e nel design. Qui infatti si svolgono le sfilate principali e accorrono gli stilisti emergenti oltre a folle di guru, blogger, fashion victim e influencer che “pattugliano” le vie della moda con i look più improbabili nella speranza di farsi notare e coinvolgere, entrando così a pieno titolo e nel magnifico “circo” del fashion. Ed è sempre qui che, oltre a irraggiungibili modelli e modelle, sfilano i personaggi più noti del mondo dello sport, dello spettacolo e della musica a livello internazionale tra presentazioni, inaugurazioni e party. Per questo, anche per i non addetti ai lavori, le settimane della moda sono l’occasione migliore per scoprire e vivere le quattro capitali e, magari, ispirati dai look visti in passerella o in strada, dedicarsi allo shopping.

 

NEW YORK La New York Fashion Week è l’occasione perfetta per conoscere le nuove tendenze più trendy del pianeta in un vortice di eventi tra concerti, mostre, conferenze che trasformano l’isola di Manhattan, e in particolare le vie di Midtown e di Soho, in un vero paradiso per fashion addicted. Da quest’ombelico del mondo, quanto meno del mondo occidentale, hanno aperto le ali stilisti come Michael Kors, Vera Wang, Donna Karan e Marc Jacobos. Da non perdere il Meat Packing District, la nuova destinazione per le boutique di icone della moda internazionale come Marc Jacobs, Stella McCartney a Alexander McQueen, e negozi di abbigliamento e di design più innovativi. La Grande Mela è uno scrigno pieno di tesori da scoprire, soprattutto a piedi, tra location che hanno fatto da sfondo di film intramontabili e serie tv, flagship store di brand internazionali (da Apple Store a Tiffany), gallerie d’arte e luoghi cult come l’Empire State Building e Times Square.
Gli appuntamenti con la moda del 2018: New York Fashion Week (Men’s) 5-8 febbraio; New York Fashion Week Fall/Winter 8-16 febbraio; New York Fashion Week Spring/Summer 6-14 settembre

LONDRA La settimana della moda a Londra accende i riflettori sugli emergenti e su brand iconici come Paul Smith e Vivienne Westwood con un calendario fitto di appuntamenti che attrae, oltre ai protagonisti del settore, vip da ogni parte del mondo. Per adeguarsi al passo della capitale britannica non basta però fermarsi alle vetrine di Oxford Street, Chelseae Knitghtsbridge. Tappa fondamentale per ogni viaggio “fashion” che si rispetti sono i leggendari mercatini dove scoprire capi vintage unici: Portobello a Notting Hills, tra i quartieri più romantici della capitale, Brick Lane, Bermondsey, Spitalfields, Brixton, Camden Lock Market e il Jubilee Market di Covent Garden.
Gli appuntamenti con la moda: London Fashion Week Men’s 6-8 gennaio; London Fashion Week Fall/Winter 16-20 febbraio; London Fashion Week Men’s 8-11 giugno; London Fashion Week Spring/Summer 14-18 settembre. Organizza il British Fashion Council

MILANO Milano si veste a festa per la settimana della moda a cui accorrono i grandi nomi del made in Italy, da Armani a Gucci fino a Prada, Versace e Dolce & Gabbana e sempre più eventi vengono creati gli emergenti. L’intera città si trasforma in passerella, con luoghi iconici come Palazzo Mezzanotte o Piazza della Scala trasformati in palchi per le sfilate (spesso visibili al pubblico) e le vie del centro “invase” da modelli, modelle, buyers e stilisti.  L’appuntamento, che cadenza il corso delle stagioni sotto la Madonnina fin dal 1958, incarna il fascino italiano tra lusso e trend da strada. E infatti, oltre al leggendario quadrilatero (la zona compresa tra via Montenapoleone, via La Spiga, Corso Venezia e via Manzoni), gli eventi che si susseguono nel corso della settimana della moda coinvolgono l’intera città, compresa caratteristica area tra Porta Genova e Porta Ticinese dove le nuove tendenze si mescolano a un certo sapore vintage.
Gli appuntamenti con la moda del 2018: Milano Moda Uomo 13-15 gennaio; Milano Moda Donna 20-26 febbraio, Milano Moda Uomo 16-19 giugno, Milano Moda design 16-22 aprile, Milano Moda Donna 19-25 settembre. Organizza la Camera Nazionale della Moda

PARIGI A Parigi si respira lo charme, la sofisticatezza, l’eleganza, il lusso, la storia della moda che passa da leggende come Chanel, Lanvin, Christina Dior, Yves Sain Laurent, Jean Pal Gaultier, Martin Margiela e Givenchy. Qui la moda è arte. Le settimane della moda parigine sono uno spettacolo unico al mondo dove, tra luoghi da sogno, gli stilisti reinventano gli spazi per rendere le sfilate esperienze indimenticabili. Sotto la Torre Eiffel la moda è protagonista ovunque: dagli Champs Elysées in cui le catene internazionali si alternano alle boutique più chic del mondo, al Boulevard Haussmann che ospita storici magazzini come Galeries Lafayette e Au Printemps, al quartiere di Les Marais con proposte più inconsuete.
Gli appuntamenti con la moda del 2018: Paris Fashion Week Men’s 17-21 gennaio Paris Haut Couture 21-25 gennaio; Paris Fashion Week Fall/Winter 27 febbraio- 6 marzo; Paris Fashion Week Men’s 20-24 giugno; Paris Haute Couture 1-5 luglio; Paris Fashion Week Spring/Summer 25 settembre – 3 ottobre. Organizza la Federation Francaise de la Couture

 

Parigi foto




Un successo di nome Claudio Insegno

Al Teatro Nuovo di Milano, fino al 9 aprile 2017, è in scena una delle commedie più divertenti che sia mai stata scritta, “Rumori fuori scena” di Michael Frayn. Grande mattatore della pièce, nel duplice ruolo di attore e regista, è uno dei più grandi artisti dei nostri giorni: Claudio Insegno, che nella scorsa stagione ha sbancato il botteghino con il musical “Jersey Boys“.

Claudio, torni sul palco, come attore, con un testo di prosa molto accattivante.

Rumori fuori scena” è un classico del teatro comico. È uno spettacolo che, nel tempo, ha avuto tantissimo successo, fin da quando lo portava in scena la Compagnia Attori e Tecnici. Abbiamo deciso di rinnovarlo un pochino e quindi riportarlo in teatro anche con la nostra compagnia di Torino, prodotto da TPE. Lo spettacolo è una vera e propria macchina da guerra per far ridere! “Rumori fuori scena” parla di tutto quello che succede dentro la scena, fuori dalla scena, nella vita di tutti i giorni degli attori che qui sono un po’ più saltimbanchi che attori.

Come mai questo ritorno a fare l’attore?

Ogni anno faccio almeno uno spettacolo come regista e attore. È quasi un obbligo per me, come andare dallo psicanalista: è una necessità, e in un certo senso quasi uno sfogo, cercare di fare uno spettacolo che mi porti anche sul palcoscenico.

La domanda è d’obbligo: Claudio Insegno è più attore o regista?

Non ho davvero preferenze, mi piace fare entrambe le cose: fare uno spettacolo come attore, come dicevo prima, per me è una necessità, perché comunque mi fa sfogare, mi fa stare bene dopo lo stress magari di qualche spettacolo fatto come regia; ma non posso non fare anche uno spettacolo come regia perché mi piace avere in pugno tutta la situazione e creare qualcosa che piaccia. Finora devo dire che è andata bene. Creare spettacoli per il pubblico mi riempie di gioia. È quasi come aver dato vita a un bambino, anche se certamente non è proprio la stessa cosa. Io non ho figli ma questi spettacoli sono per me come figli: in un certo senso li accompagno per mano per molto tempo e cerco di insegnare loro la strada giusta.

La scorsa stagione hai avuto un successo incredibile con “Jersey Boys”, con riconoscimenti anche internazionali. Ti aspettavi una cosa del genere?

Jersey Boys” è stato una sorpresa, una vera sorpresa, nel senso che mi aspettavo di fare un buon musical ma non a quel livello. Certo partivo con dei bravissimi attori, una splendida scenografia, bellissime canzoni e una validissima orchestra. Il tutto – diciamo – è stato un po’ ispirato perché comunque mi piace parlare della vita vera di artisti, delle sofferenze e di tante altre cose; mi piace la storia perché parla di noi, di quello che siamo, del nostro passato sulla terra e, in un certo senso, della nostra vita. Davvero non mi aspettavo questo successo e infatti, per scherzo, dico sempre che sembra che non sia un mio spettacolo, per quanto è bello! Forse è proprio l’amore che ho messo in questo spettacolo che il pubblico percepisce e, a sua volta, ama.

Che cosa ti riserva il futuro?

Nel futuro come musical sto preparando “Spamalot” dei Monty Python, con Elio di Elio e le Storie Tese. Sarò poi in tournée con “Rumori fuori scena” mentre al Casinò di Parigi prosegue il successo di “Jersey Boys“.

Hai un sogno nel cassetto?

Avrei la voglia di scrivere e dirigere un musical tutto mio, non musicato da me, perché non sono all’altezza di comporre le musiche, ma almeno concepito interamente da me. Nella prosa c’è un testo di Neil Simon, completamente sconosciuto, che mi piacerebbe mettere in scena: si intitola “Il favorito di Dio” e credo che potrebbe essere davvero uno spettacolo di successo.




Francia, dieci ragioni per andarci nel 2017

Le ragioni per oltrepassare le Alpi e andare in Francia sono sempre numerose. Ecco le prime dieci per prenotare subito un volo o un collegamento ferroviario nelle principali città d’arte e non solo francesi

1 – Festeggiare i primi 25 anni del primo parco tematico di Francia e d’Europa. Chi l’avrebbe detto che è passato un quarto di secolo per  DISNEYLAND PARIGI?

2- Scoprire il NUOVO MUSEO YVES SAINT LAURENT Al n. 5 di Avenue Marceau nella storica Maison di Couture, tributo ai 50 anni di creatività del celebre couturier di origini algerine che ha lasciato il segno nella storia di Francia e della moda internazionale.

3- Andare per GIARDINI IN COSTA AZZURRA Nel 2017 la Costa Azzurra e il Vat lanciano il 1° Festival dei Giardini sul tema Il risveglio dei sensi, occasione per scoprire tutto l’anno oltre una sessantina di giardini aperti al pubblico.

4- Celebrare il decimo anniversario «BORDEAUX FETE LE FLEUVE». Dal 25 maggio al 4 giugno 2017 la città di Bordeaux, nota in Francia e nel mondo per i suoi vini, si prepara a celebrare per la decima volta il fiume Garonna e le sue rive, sempre animate.

http://www.bordeaux-fete-le-fleuve.com/

6- Scoprire LE HAVRE nei 500 anni dalla sua fondazione. Le Havre, città patrimonio dell’Umanità dell’Unesco, festeggia nel 2017 i 500 anni dalla fondazione con un ricco programma di eventi e installazioni d’arte.  Un’occasione da non perdere per scoprire le realtà della Francia meno note.

7- Esplorare l’universo DALIDA al Museo Galliera di Parigi
In occasione dei 30 anni dalla morte, una grande mostra su Dalida, tra le artiste più amate di Francia, a Palais Galliera, il museo della moda della città di Parigi, dal 29 aprile al 13 agosto, con gli abiti dei più famosi stilisti Chanel, Christian Dior, Yves Saint Laurent, Azzaro, Balmain, Carven che ha indossato nella sua carriera.

8. PICASSO PRIMITIVO al Quay Branly di Parigi . Dal 28 marzo al 23 luglio, grande mostra su Picasso Primitivo e l’arte non occidentale al Museo del Quai Branly Jacques Chirac. www.quaibranly.fr

9-Celebrare il centenari0 di RODIN. Per celebrare il centenario della morte del grande scultore Auguste Rodin, tra gli artisti più noti in Francia e nel mondo, una grande mostra al Grand Palais di Parigi dal 22 marzo al 31 luglio 2017, un nuovo sguardo su uno dei padri della scultura moderna.

10- Brindare ai 40 anni del CENTRE POMPIDOU, icona di Francia
Compie 40 anni – è stato inaugurato il 31 gennaio 1977 – il Beaubourg, Centro nazionale d’arte e cultura Georges Pompidou, realizzato dagli architetti Renzo Piano e Richard Rogers.

 

 

 




Alex Mastromarino e Jersey Boys tornano in Italia

Jersey Boys”, il pluripremiato show rivelazione della scorsa stagione, vincitore degli Italian Musical Awards, torna a Milano al Teatro Nuovo dal 3 al 20 novembre, dopo aver conquistato il pubblico parigino. Lo spettacolo del regista Claudio Insegno, infatti, ha letteralmente sbancato al Folies Bergère di Parigi, registrando il tutto esaurito ogni sera, standing ovations da parte di un pubblico coinvolto e molto entusiasta nonché un grande successo di critica sulla stampa locale.

Abbiamo incontrato Alex Mastromarino, il protagonista di questo entusiasmante show. Alex, che veste i panni di Frankie Valli, storica indimenticabile voce dei Four Seasons, è stato scelto tra oltre duemila perfomer e, dopo tanti anni da caratterista, ora è al suo primo vero ruolo da protagonista.

D. Alex, calchi le scene da circa 16 anni, sei un performer completo, cosa ti ha portato a voler far parte del cast di “Jersey Boys”?

R. Intanto “Jersey Boys” segna il mio ritorno al musical, dopo tre anni di fermo in cui mi sono dedicato all’apertura della mia accademia a Livorno, la WOS Academy, nella quale a tutt’oggi insegno. In questi 16 anni di palco scenico ho fatto tanti spettacoli, tutte esperienze favolose. Tra i tanti mi piace ricordare “Pippi Calzelunghe” con Gigi Proietti e la regia di Fabrizio Angelini; “Aladin” con Manuel Frattini, in cui interpretavo Abù; due spettacoli che ho fatto con Paolo Ruffini; e naturalmente i musical fatti con Compagnia della Rancia: “The Producers” con Enzo Iacchetti e Gianluca Guidi e “Grease” in cui avevo il ruolo di Roger. Tutte bellissime esperienze, che mi hanno dato molto, ma in cui ero un caratterista. “Jersey Boys” mi ha convinto a ritornare al musical perché finalmente non sarei più stato un caratterista ma un personaggio a tutto tondo, completo, che vive momenti drammatici, commoventi e anche divertenti. Finalmente un ruolo da protagonista.

D. Frankie Valli è un personaggio completo quindi?

R. Questo spettacolo è costruito tutto in flash back. I 4 ragazzi, i Four Season, ricordano e rivivono il loro percorso artistico dagli albori fino ad oggi o meglio fino al 1999, anno in cui sono stati inseriti nella Vocal Group Hall of Fame. Il mio Frankie, in scena, vive dai 16 anni fino ai 65. Anche per questo è un personaggio a tutto tondo.

D. Come è stato lavorare con Claudio Insegno?

R. È stato fantastico! Claudio è un grande, una persona molto simpatica. La cosa che più ho apprezzato di lui è che ci ha lasciato molta libertà nella creazione dei personaggi. Non ci ha obbligati a restare fedeli al copione né ad imparare miliardi di battute o movimenti a memoria, lasciando così la possibilità di costruirci i personaggi addosso, di metterci molto di noi stessi. Questa libertà ha permesso anche di avere sempre un clima molto sereno e giocoso durante le prove.

D. Lo spettacolo è fedele all’originale inglese?

R. Assolutamente, sia a livello di scenografia sia di costumi sia di coreografie. Unica modifica, e anche in questo Claudio è stato un grande, è l’umorismo. Le battute sono state adattate al pubblico italiano. L’umorismo anglosassone non avrebbe di certo funzionato qui da noi. Claudio ha caratterizzato moltissimo l’ensemble, tutti attori bravissimi, un cast meraviglioso, di grandi eccellenze, “italianizzandolo” a livello di battute e di testo.

D. “Italianizzazione” che è stata apprezzata anche a Parigi. Come è andata al Folies Bergère?

R. È stata una grandissima esperienza! Mai mi sarei aspettato che lo spettacolo arrivasse fino in Francia. Non mi sono accorto della grandiosità di questa trasferta fino a quando non ho realizzato appieno che eravamo su tutti i giornali locali, come Le Monde, Le Parisien,… Lì ho capito che stavo vivendo una situazione fantastica, fuori dal comune. Sono rimasto stupito dal successo che abbiamo avuto, anche perché lo spettacolo era in italiano con sottotitoli in inglese. Invece il pubblico era entusiasta. Ogni sera vi era grande partecipazione: la gente rideva, applaudiva e si alzava a ballare. E noi che pensavamo di trovare un pubblico ipercritico e silenzioso! Ogni sera, molte persone mi aspettavano per firmare autografi e scattare foto. E la mia vocalità ha suscitato grande interesse: sono stato invitato per interviste in molte trasmissioni televisive e sono stato ospite presso la prestigiosa Accademia Nazionale del Musical. È stato straordinario. Si sono formati contatti e anche prospettive di lavoro. Non escludo di dover tornare a breve in Francia!

D. Alex, sei cantante, ballerino, attore ma anche regista e autore di spettacoli anche musical…

R. …parlare di me come regista forse è dire troppo! Non mi sono mai sentito un regista, ho fatto delle piccole cose per delle produzioni semi professionistiche ma preferisco lasciar fare questo mestiere a chi lo sa davvero fare. Sicuramente ho avuto anche questo tipo di esperienza.

D. Che cosa vedi nel tuo futuro oltre ad un possibile ritorno in Francia?

R. Nel mio futuro vedo sempre la mia WOS Academy di Livorno. Amo insegnare, amo portare i miei ragazzi a vivere le belle esperienze che mi concedo di tanto in tanto anche io. Laureandomi in vocal coaching mi sono avvicinato all’insegnamento, un mondo che mi affascina tantissimo, mi ha preso molto, ed è una strada che non lascerò mai, anzi vorrei coltivarla sempre di più perché amo davvero fare il vocal coach. Ovviamente mi piacerebbe anche fare altre esperienze a livello di spettacoli. Ora che mi sono avvicinato all’esperienza da protagonista, mi piacerebbe andare a ricoprire quei ruoli che, fisicamente, a livello attoriale, potrebbero essere congeniali per me come, ad esempio, Seamur nella “Piccola Bottega degli Orrori”.

D. C’è un musical in particolare che ti piacerebbe fare?

R. C’è uno spettacolo che ho amato moltissimo, uno spettacolo tutto italiano: “Hollywood – Ritratto di un Divo” che vedeva il grande Massimo Ranieri nel ruolo del protagonista, John Gilbert. Questo ruolo mi ha sempre molto affascinato e mi piacerebbe moltissimo un giorno poterlo fare anche io. Inoltre so che presto arriverà anche l’edizione italiana di “Mary Poppins”! Se alla produzione andasse bene un Bert non troppo alto… io mi propongo!




Sedici ragioni per riscoprire Parigi

Sono almeno sedici le ragioni per cui tornare a Parigi nei prossimi mesi. La Ville Lumiere infatti ha predisposto un ricco programma di eventi, riaperture e manifestazioni per tutto il 2016. Tutte ragioni che si aggiungono ai numerosi elementi di fascino che da sempre richiamano su Parigi turisti da tutto il mondo. Insomma un week end lungo a Parigi o, meglio ancora, un’intera settimana, è una tappa d’obbligo per i prossimi mesi. Le offerte per la Ville Lumiere, meravigliosa in ogni stagione, non mancano. Basta solo decidere le date, il mezzo (su Parigi il treno potrebbe costituire un’alternativa molto valida, veloce ed economica rispetto ai classici voli) e partire alla scoperta tutte le novità che Parigi ha in serbo in questo nuovo anno.

 

1. IL MUSEO PICASSO

I grandi lavori di restauro dell’Hôtel Salé hanno triplicato la superficie del museo, che ha appena compiuto i suoi primi 30 anni. Sosta d’obbligo al Cafè sur le Toit al 1° piano del palazzo.

2. IL PANTHEON

Riapre al pubblico in aprile, dopo un eccezionale restauro, il colonnato del Panthéon. E all’interno è stato reinstallato il pendolo di Foucault, prova materiale del movimento della Terra. Una sfera dorata del diametro di 20 cm, peso di 28 kg, sospesa a un filo di 67 metri.

3. IL MUSEO DE L’HOMME

Dopo sei anni di restauri, ha appena riaperto le porte il museo di antropologia, uno dei più grandi del mondo, al Trocadéro, con oltre 700.000 reperti.

4. LA FONDAZIONE LOUIS VUITTON

La « nuvola di vetro » disegnata da Frank Gehry, all’interno del Jardin d’Acclimatation, nella zona nord del Bois de Boulogne, è la nuova location parigina della creazione artistica contemporanea. www.fondationlouisvuitton.fr

5. IL PARCO ZOOLOGICO

Un nuovo modello di zoo: un’esperienza unica in Francia nell’ambiente naturale degli animali, oltre 14 ettari di scenari dal mondo attorno al Grand Rocher, una guglia di roccia alta 65 metri, simbolo dello zoo.

6. QUAY BRANLY

Il Museo del Quay Branly, sull’omonimo Lungo Senna, è il museo “dove dialogano le culture”, obiettivo decisivo del nostro tempo: dall’Africa all’Asia, dall’Oceania alle Americhe. In uno scenografico allestimento progettato da Jean Nouvel e dall’architetto paesaggista Gilles Clément.

7. LA PHILARMONIE DE PARIS
Il nuovo edificio firmato Jean Nouvel accanto alla Cité de la Musique di Christian de Portzamparc del 1995 inventa un tempio della musica nel Parc de la Billette: tre sale da concerto e un museo della musica, ristoranti, librerie…

8. IL JARDIN DES PLANTES

Il più famoso Orto Botanico di Francia, fondato nel ‘600: 4 secoli di storia in un luogo straordinario: le grandi gallerie, le serre, lo zoo storico, la scuola botanica, laboratori, mostre…e si entra gratis!

9. IL PARC MONCEAU

Uno dei parchi pubblici più fascinosi di Parigi, nato nel ‘700 nell’8° arrondissement. Qui Monet ha dipinto qui cinque dei suoi quadri più famosi, mentre Sofia Coppola vi ha girato la pubblicità di Miss Dior Chérie.

10. LA BIBLIOTHÈQUE FRANCOIS MITTERRAND

Nel quartiere di Tolbiac, XIII° arr. , non è solo la BNF, Biblioteca Nazionale di Francia, la più importante del Paese, ma anche una sede di mostre ed eventi, nello scenario d’eccellenza delle quattro torri-libro progettate da Dominique Perrault.

11. IL CAFÉ DE LA PAIX

Inaugurato nel 1862 all’angolo fra il boulevard des Capucines e Place de l’Opéra, con il famoso teatro dell’Opera di Garnier, è una vera istituzione parigina, un gioiello stile Impero, dichiarato monumento nazionale.

12. L’INSTITUT DU MONDE ARABE

Progettato da Jean Nouvel e Architecture Studio, vuole essere anche nell’architettura un ponte fra cultura araba e cultura occidentale, così importante oggi. La facciata meridionale conta 240 moucharabieh che si aprono e si chiudono ogni ora.

13. I PASSAGES

Dei 150 passages costruiti fra ‘800 e ‘900 oggi ne rimangono una trentina. Da non perdere il Passage du Caire in place du Caire, il più antico fra quelli ancora esistenti (1798) e il Passage Jouffroy, la prima galleria tutta in vetro e metallo (1836).

14. IL PONTE ALESSANDRO III

È il più bel ponte di Parigi e supera la Senna fra il 7° e l’8° arrondissement. Inaugurato per l’Esposizione Universale del 1900, e per celebrare l’amicizia franco-russa, è lungo 160 metri e decoratissimo. Immortalato anche in Midnight in APris di Woody Allen 

15. LAFAYETTE GOURMET

Il pianoterra e il piano interrato delle Galeries Lafayette al 35 di bd Haussmann sono un tempio del gusto: 3.500 metri quadrati con tutto il meglio dei sapori francesi.

16. IL MUSEO GUIMET

Uno dei più grandi musei di arte asiatica, nato dalle collezioni dell’industriale lionese Emile Etienne Guimet. Imperdibili il Pantheon dei Budda e il nuovo giardino giapponese attorno al Padiglione del tè.

 




Le evoluzioni di Matisse in mostra a Torino

di Emanuele Domenico Vicini – Esporre Matisse, coprendo, con una cinquantina di opere, pressoché tutto l’arco della sua produzione, dagli esordi con il maestro Gustave Moreau, fino alle ultime carte ritagliate degli anni Sessanta, significa offrire uno scorcio davvero ampio sulla cultura artistica del primo Novecento in Europa.
La mostra di Palazzo Chiablese, a Torino, visitabile fino al prossimo maggio, nasce dalla strepitosa collezione matissiana conservata al Centre Pompidou, curata da Cécile Debray, storica dell’arte, da sempre impegnata in esposizioni di grande respiro e di assoluta chiarezza didattica.
Anche questa fatica dedicata al pittore di Cateau Cambrésis, come altri lavori precedenti (penso alla mostra dedicata a Balthus, a Roma, dell’ottobre scorso) si divide in dieci sezioni, che raccontano l’evoluzione stilistica e tematica di Matisse, confrontandola con il contesto storico e pittorico della Francia e dell’Europa del primo Novecento.
La mostra si compone di un patrimonio di circa cinquanta opere di Matisse e altrettante di autori contemporanei (Picasso, Renoir, Modigliani, Bonnard, Miró, Derain Braque, Léger). In questo modo, l’esposizione perde la sua rigida linearità di narrazione retta, per diventare invece un’esperienza più ricca, ampia, capace di farci cogliere Matisse nella relazione e nello scambio con i suoi colleghi.
Approdato alla pittura dopo un percorso di studi in legge, si forma con Gustave Moreau, pittore simbolista che nella Francia della seconda metà dell’Ottocento, mentre gli Impressionisti si affacciavano alla ribalta, aveva introdotto temi colti e seducenti, riferimenti al mito classico e alla bibbia, immagini spesso ambigue nelle loro allusioni, ma stilisticamente impeccabili, nel fascino di una tecnica di disegno altissima e di uno sfumato di sapore leonardesco.
In questo contesto impara l’arte e la storia della pittura, ma soprattutto acquisisce il senso della nobiltà della disciplina, il suo valore estetico intrinseco e proprio, che, pur nelle diverse fasi del suo percorso, non verrà mai meno.
Il balzo agli onori delle cronache avviene nel 1905, quando espone al Salon d’Automne, insieme con Derain, Vlaminck e altri, tutti artisti provenienti da percorsi diversi. In quell’occasione Louis Vauxcelles, importante critico d’arte nella Francia di inizio secolo, definisce questi giovani pittori fauves, belve: autori di opere rozze, con colori chiassosi e accostati in modo brutale, composti in forme primitive.
Nasce così l’Espressionismo in Francia, madre di tutte le avanguardie del secolo, vero punto di rottura con qualsiasi accademia.
Tra il 1905 e il 1906 il movimento vive la sua stagione d’oro, breve ma sufficiente a determinare i destini della pittura europea.
La prima fonte di ispirazione per Matisse è il Midi, il Mezzogiorno, di Francia, dove la sua tavolozza viene riscaldata dal sole mediterraneo e addolcita dall’azzurro del mare. Il paesaggio paradisiaco e incontaminato del sud schiarisce e purifica i colori, anticipando le suggestioni che alcuni anni dopo verranno dall’Oriente e dal Nord Africa.
Il pittore abbandona così definitivamente l’adesione al dato naturale che, ereditato dall’Impressionismo, stava caratterizzando ancora molti pittori di quel decennio. Lentamente, Matisse approda a un lavoro di scomposizione cromatica decisamente poco ortodosso. Non si tratta più di impressioni di luce e colore, ma l’espressione libera delle emozioni che animano il cuore dell’artista.
La novità che qui nasce, e gradualmente si consolida negli anni seguenti, è la consapevolezza che la tecnica divisionista, la scansione dei colori primari in piccoli punti o linee, da pochissimo entrata in uso nella pittura europea più moderna, in realtà è inadeguata, perché non crea emozione, non comunica la profondità di uno stato d’animo. Matisse cerca la forza del colore, l’intensità, la gioia di vivere. Tornano quindi le tinte piatte, in fortissimi contrasti, e un disegno estremamente semplificato.
I corpi, i nudi, le figure che compaiono nei dipinti di questa fase sono l’immagine di una bellezza originale, pura e incontaminata, segnata dalla libertà e dalla sensualità che nasce dalla naturalezza delle loro forme e dalla relazione spontanea con il mondo che li ospita.
Superato i problemi tecnici del divisionismo, Matisse nelle grandi campiture piatte manifesta l’aspirazione a una definitiva autonomia espressiva del colore.
Il continuo confronto con gli altri protagonisti della pittura europea del Novecento presenti in mostra aiuta a capire senza dubbio che Matisse non dipinge persone, cose e paesaggi per raccontare storie: dipinge per fare pittura. La sua arte non si piega a imitare la realtà, ma racconta l’atto pittorico in sé. I colori e le forme non servono a descrivere nulla, sono studiati come colori e forme puri, come atti artistici e creativi che hanno un preciso valore estetico, a prescindere dalla loro connessione logica.
Emblematica in questo senso è la lettura comparata delle opere dedicate all’atelier dell’artista soggetto frequentissimo in Matisse, qui affiancato allo Studio di Picasso e a Atelier IX di Braque. Il tema, risalente agli anni Cinquanta, ci offre un ambiente privato, chiuso, che rappresenta lo spazio dell’artista dove gli oggetti sono proiezioni mentali, allusioni metaforiche al fare arte e alla disciplina stessa della pittura.
Lo studio non ha alcuna realtà al di fuori di quella pittorica. Matisse non vive nel proprio studio, che non è parte della sua casa (come invece accade a quasi tutti i suoi colleghi). È un ambiente costruito apposta, progettato come funzionale contenitore per il proprio lavoro pittorico. Nelle sue rappresentazioni dello studio d’artista, i contorni sono appena tratteggiati da linee sottilissime che trasformano i pochissimi arredi in apparizioni fantasmatiche che servono solo a delimitare campiture di colore a contrasto.
A differenza di Picasso e Braque, che nell’atelier raccontano la loro cultura, i loro sogni, la storia della loro arte, Matisse elimina qualsiasi attributo celebrativo e simbolico. Lo studio non racconta il fatto sociale della pittura, ma dà risalto a una sua logica interna. Il colore non descrive uno spazio reale, ma esprime l’intensità spirituale ed emotiva del fare arte.
Questo processo creativo non può che portare infine Matisse ha un incontro profondo e intensissimo con la musica. Ne è testimone la serie di Icaro, presente in mostra, composta di una ventina di tavole, create per illustrare in pittura la potenza evocativa del jazz. La musica rappresenta l’abbandono incondizionato al senso dell’infinito, è la massima espressione di uno spirito libero che supera la realtà e si libra indisturbato nel cielo della creatività.

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Matisse e il suo tempo

Palazzo Chiablese, Torino, fino al 15 maggio 2016