1

Aperitivo in giallo nel pavese

Metti una sera di autunno, seduto comodamente su un divano o una poltrona, un buon bicchiere di vino in mano, il camino che scoppietta e riscalda e Autori pavesi di gialli che che raccontano i loro lavori…

Ecco a voi la Rassegna Giallo Pavese-Aperitivo in collina con gli Autori, ideata e moderata da Marina Crescenti e Annalisa Gimmi, con il Patrocinio Gratuito del Comune di Redavalle e del Comune di Pietra de’ Giorgi. Si tratta di un ciclo di 6 tavole rotonde, in cui saranno presentate le opere di Autori pavesi, allo scopo di valorizzare una realtà oggi compenetrata nel tessuto culturale del territorio, quella del genere Giallo e Noir.

Gli incontri si terranno tra ottobre 2022 e maggio 2023, presso il prestigioso Centro Enoculturale Tenuta Calcababbio, Strada Comunale Calcababbio 1, Pietra De’ Giorgi (PV). Gli Autori, le moderatrici e il pubblico saranno seduti intorno a un grande tavolo; altri spettatori potranno accomodarsi sui divani e sulle poltrone intorno, mentre il camino di cui dispone la sala sarà sempre acceso. Il pubblico potrà interagire con gli Autori anche nel corso del dialogo con le moderatrici. Durante l’incontro, si brinderà con i vini della Tenuta Calcababbio, accompagnati da stuzzichini della casa. Al termine, ci si sposterà nella sala attigua per gustare un risotto con verdure di stagione, accompagnato sempre con dell’ottimo vino e altre sfiziosità. Per il pubblico, la quota singola di partecipazione sarà di 10.

A ciascuna tavola rotonda parteciperanno più Autori, che esporranno prospettive personali su un genere letterario molto amato dal pubblico. L’ambientazione pavese e/o la “pavesità” degli scrittori sono un aspetto imprescindibile della vita culturale cittadina. La presenza di più Autori a evento ha il precipuo scopo di giungere a scambi culturali stimolanti e di offrire a ciascun Autore la possibilità di confrontarsi con i diversi approcci dei colleghi verso il genere giallo.

I singoli eventi – organizzati in modo da cogliere le atmosfere delle stagioni più affascinanti e suggestive nelle colline dell’Oltrepo e quelle più romantiche del Natale nella Tenuta Calcababbio – si terranno nelle seguenti date, abbinate ai seguenti gruppi di Autori:

sabato 1º ottobre 2022 ore 17,30

Ilaria Fulle, Roberto Monti

sabato 15 ottobre 2022 ore 17,30

Massimo Marcotullio, Paolo Rovati

sabato 3 dicembre 2022 ore 12,30

Katia Ferri Melzi d’Eril, Marina Crescenti, Flavio Santi

sabato 15 aprile 2023 ore 17,30

Paolo Gaetani, Annalisa Gimmi, Furio Sollazzi

sabato 6 maggio 2023 ore 17,30

Claudia Celè, Francesco Mastrandrea & Mauro Sangiorgi

sabato 20 maggio ore 17,30

Massimo Bocchiola, Vittorio Renuzzi




Puro Hygge: un menù di ispirazione nordica

di Emanuele Domenico Vicini

Dettagli curati, toni chiari, tendenzialmente neutri, ambiente silenzioso e raccolto. Così si presenta il nuovo Puro Hygge, lo spin off di Puro Slow Burger, locale ormai afferrmartissimo in centro a Pavia.

Puro nacque alcuni anni fa proponendo un riuscito match tra la praticità dell’hand food e la ricercatezza di materie prime di qualità, con abbinamenti non scontati e varianti sempre nuove ogni settimana.

Ora è uno dei locali più affermati della città, perché ha saputo catturare e fidelizzare il suo pubblico (e con l’asporto si è salvato nel post Covid).

Questo slideshow richiede JavaScript.

Puro Hygge, che inaugura oggi, ha una trentina di posti disposti su tre piani (magari un po’ scomodi da raggiungere) e un’offerta di ispirazione nordica: pesce e verdure, panini aperti alla danese, tapas e piatti completi. Si può scegliere tra alcune proposte di menù degustazione o si compone il proprio pranzo con piatti diversi.
Dominano salmone, aringhe e merluzzo, verdure in agrodolce, salse ed erbe aromatiche, il tutto preparato con eleganza ed equilibrio tra le parti.

Marcato, ma molto piacevole è il contrasto tra la leggerezza dei colori del locale (apprezzabile la scelta di recuperare quanto più possibile dell’architettura e delle decorazioni degli ambienti, pavimenti compresi) e la sapida nettezza dei sapori che si gustano, capaci di richiamare la semplicità un po’ ruvida, ma avvolgente, delle città del nord.

Due giovani camerieri, forse ancora un po’ impacciati, gestiscono la sala. Discutibile la scelta di non avere aria condizionata. Purtroppo l’estate Pavese non è addolcita dalle temperature di Copenaghen…

Puro Hygge, Ristorante a Pavia, Strada Nuova, dal 2 luglio




A Pavia si festeggia il pi greco day

Terza edizione, dopo il grande successo delle precedenti, del pi greco day a Pavia.

Un numero sfuggente e intrigante che ha ispirato l’immagine della locandina di quest’anno: Mani che disegnano di Escher. Una ricerca costante e continua delle cifre di un numero irrazionale che permea la realtà che ci circonda ma anche la fantasia, infatti, al suo interno potrebbe essere custodito un messaggio alieno o un segreto primordiale oltre che tutto lo scibile.

A promuovere l’iniziativa è l’Istituto Superiore Statale TaramelliFoscolo e l’ARMT Milano con la collaborazione dell’Università degli Studi di Pavia e dell’I.I.S. Volta.

L’iniziativa, patrocinata dal Comune di Pavia, avrà inizio alle 9:00 nella sala conferenze del Museo Civico, presso il Castello Visconteo, con un concerto, a cura degli allievi del Liceo Musicale Cairoli di Pavia, durante il quale verrà suonato anche il pianoforte, recentemente restaurato, di Einstein.

La mattinata proseguirà nei chiostri del Liceo Scientifico Taramelli e del Liceo Classico Foscolo con una serie di conferenze di Matematica, Arte, Fisica e cinema. In piazza della Vittoria, lato Broletto, sino alle 13:00 saranno attivi diversi laboratori di divulgazione scientifica.

Anche quest’anno viene riproposto il giro turistico nei luoghi di Einstein a Pavia, a cura degli allievi della sez. Turistica dell’Istituto Tecnico Bordoni, per ricordarne il legame ma anche la ricorrenza della nascita.

Nel pomeriggio le iniziative si sposteranno al Museo della Tecnica Elettrica (prenotazione obbligatoria) e alla libreria Feltrinelli. In chiusura di settimana alla libreria Delfino ci sarà l’incontro con Ennio Peres.

 

Ecco il programma completo:

Musei Civici Sala Conferenze Castello Visconteo Pavia

Apertura dei lavori alla presenza delle Autorità cittadine, del Dirigente Scolastico dell’IstitutoSuperiore Statale Taramelli-Foscolo, Prof. Oler Grandi e della Presidente dell’A.R.M. T. Milano Prof.ssa Rosa Iaderosa

ore 9:00  Apertura Musicale, a cura degli allievi del Liceo Musicale A.Cairoli di Pavia  verrà suonato il Pianoforte di Einstein

ore 9:30 Intervento del Prof. Lucio Fregonese, Dipartimento di Fisica dell’Università degli Studi di Pavia

Chiostro Liceo Scientifico Taramelli

ore 10:00 – 10:45

Arance, alveari e correzione di errori in codici complessi

Conferenza di Matematica a cura del Direttore del Dipartimento di Matematica dell’Università degli Studi di Pavia, Prof. Ugo Gianazza

ore 11:00 – 11:45

Pi greco, la fase, l’interferenza: dalla fisica classica alla fisica quantistica 

Conferenza di Fisica a cura dei proff. Lucio Andreani e Matteo Galli.

Chiostro Liceo Classico Foscolo

ore 10:00 – 12:00 

Conferenza di Matematica e Arte “Cornelius Escher: di-segni e di numeri”, a cura dei Proff. Emanuele Vicini, I.I.S. Volta, Ludovico Pernazza, Dipartimento di Matematica dell’Università degli Studi Pavia

ore 12:00 -13:00

Il cielo cade

lezione cinematografica ispirata ad alcuni frame de sulla storia di Robert Einstein, a cura del Prof. Simone Leddi, Liceo Omodeo di Mortara

Maratona nei luoghi di Einstein a Pavia dalle 9:00 alle 13:00

Museo Civico Castello Visconteo

Museo della Storia dell’Università

Liceo Classico Ugo Foscolo

Casa di Einstein, in Via U.Foscolo

Industrie Einstein-Garrone

Ponte Vecchio

Laboratori in Piazza della Vittoria dalle 9:00 alle 13:00

Sezioni coniche: Macchine Matematiche (Associazione Macchine Matematiche di Modena)

Il giardino di Pitagora

Geometria sulla sfera

Prodotti davvero notevoli

Il tiro al pi greco

Giochiamo disegnando “pi greca

Sezione aurea girando attorno a noi

Ammoniti auree”

Museo della Tecnica Elettrica 

Ondivaghiamo presso MTE

a cura della Prof. Carla Vacchi

(nel pomeriggio su prenotazione obbligatoria)

Libreria Feltrinelli: 

dalle 18:00 alle 19.00

Mettiamoci in gioco con la Matematica, a cura di Valeria Ferrari 

Libreria Il Delfino, 

19 marzo, ore 18:00

Uno zero infinito. Divertimenti per la mente

L’autore Ennio Peres dialoga con Gipo Anfosso




Miriam Prato: Rinnovare l’Antico

di Emanuele Domenico Vicini – Sabato 14 aprile 2018, negli spazi del Broletto di Pavia, in Piazza della Vittoria, si inaugura una nuova mostra di Miriam Prato, una delle più famose pittrici pavesi, ormai collezionata in molti musei del mondo.

Miriam Prato, che per anni ha diviso la sia vita tra la professione di restauratrice e l’arte della pittura, è una delle più interessanti espressioni di quel filone dell’arte contemporanea fondato sul recupero colto della tradizione, come punto di partenza per libere interpretazioni e affascinanti giochi compositivi.

Tramontati i grandi miti delle avanguardie che hanno popolato a fasi alterne molta parte del XX secolo, esauritasi la spinta propulsiva del concettualismo che tanto aveva animato lo scenario artistico del secondo Novecento, il ritorno alla manualità, il recupero di profonde competenze tecnico pittoriche di tradizione, la consapevolezza del valore dell’immagine nella sua sensorialità e comprensibilità sono le mete che molta arte si è posta negli ultimi decenni.

Cogliendo gli spunti più ricchi che il suo lavoro di restauratrice leha offerto, Miriam Prato opera sulle incisioni delle Cronache di Norimberga, o su artisti come Giovanni Battista Bracelli, o ancora su tavole di Albrecht Dürer; le riproporziona, ne estrapola, a volte, dettagli e le inonda di colore, le trasforma in fiumi di inebriante vitalità cromatica. I cieli si tingono di toni di arancio, di blu, di nero; le figure prendono vita, circondate da abiti luminosi, da dettagli sgargianti e inebriate dai colori del nuovo mondo nel quale Miriam li pone.

Il suo lavoro manifesta un complesso processo culturale, nella scelta delle opere da cui muovere, nella elaborazione delle relazioni tra forme e colori che vengono stesi sulla tela.

Al contempo, Miriam sa porsi con rara intelligenza ed eleganza sull’impervio crinale dell’arte di oggi. Le sue tele non sono soltanto esempi di colto citazionismo, non si limitano a dichiarare uno degli assunti della contemporaneità postmoderna, cioè che non esistono più distinzioni diacroniche o gerarchiche nell’intero bagaglio della tradizione artistica; esse sono il frutto di una profondissima competenza e conoscenza dell’arte antica e della grafica in particolare. Gli equilibri cromatici, le soluzioni e i tagli compositivi, i calibratissimi rapporti tra pieni e vuoti nascono dalla meditazione quotidiana sull’immagine antica.

Le scene dipinte di Miriam Prato ci invitano così a una passeggiata intellettuale, circondati dalla storia dell’incisione rinascimentale e moderna; ci accolgono in una sorta di città virtuale (soggetto tra i più frequentati dalla pittrice) dove ci confrontiamo con il passato, ne esorcizziamo la distanza e ce ne appropriamo nuovamente, ridisegnandone il valore metaforico, alla luce della complessità del nostro presente.




I volti che hanno cambiato la storia: Lady Be al Castello Visconteo di Pavia

di Emanuele Domenico ViciniLady Be, nome d’arte di Letizia Lanzarotti, dedica alla città di Pavia, nella cui provincia è nata e cresciuta, una mostra personale sui volti che hanno cambiato la storia.

L’artista pop, giovanissima ma già famosa in tutto il mondo (ha esposto a New York, Parigi, Amsterdam, Bruxelles, Malta, Berlino, Barcellona, Londra, Düsseldorf) presenta 50 opere tutte realizzate con la tecnica di sua invenzione definita dai critici d’arte “mosaico contemporaneo”.

Sentivo la necessità di esporre a Pavia – dice Lady Becittà che mi ha dato tanto e in cui ho compiuto i miei studi. Ho realizzato la maggior parte delle opere esposte proprio per questa mostra. La mia tecnica consiste nel comporre mosaici, utilizzando come tessere oggetti di plastica di recupero di uso comune. Ognuno, avvicinandosi alle mie opere, potrà riconoscere penne, tappi, giocattoli, bottoni: mi piace l’idea di lanciare, con la mia tecnica, un messaggio forte per il recupero e la sostenibilità ambientale”.

Le opere di Lady Be vanno guardate da lontano, per godere della visione di insieme di un’immagine che sembra un dipinto e che, avvicinandosi passo passo, mostra tutta la sua matericità, la sua ruvidezza, la scabra complessità della sua superficie, nata dall’accostamento paziente e maniacale di piccoli oggetti, di frammenti del quotidiano, triturati dal consumo e dal tempo, che ritornano, loro malgrado, vivi, in un’opera d’arte.

La seconda vita della materia e delle cose è un tema ormai ben consolidato nella pratica artistica del Novecento e oltre, da Marcel Duchamp in avanti. Fa parte di quelle intuizioni che non invecchiano, che sanno adattarsi ai tempi e riescono a comunicare con forza in ogni epoca, soprattutto quando, come fa Lady Be, sono reinterpretate in una chiave pop attualissima.

Le star della modernità che Lady Be immortala sono colte nelle loro iconografie, o pose, più note, più divulgate, più commerciali; sono riconoscibili perché riprodotte così come siamo abituali a vederle. Così paiono perdere la loro individualità, la loro unicità umana, per trasformarsi in icone del loro tempo, un tempo che, come ogni atto comunicativo moderno, è infinitamente potente, ma infinitamente breve. L’Andy Warhol di Lady Be non è solo l’“uomo”: è la “persona” di uno dei più famosi autoritratti del pittore. Il Gesù della prima sala è il Gesù di Nazareth di Zeffirelli, interpretato da Robert Powell.

I colori flash che Lady Be usa, l’efficacissima intuizione stilistica di creare sfumature come successione di toni saturi, amplificano la comunicazione artistica e generano l’“effetto megafono”, specchio del nostro tempo.

Allo stesso tempo, la parcellizzazione molecolare dei frammenti riciclati nella superficie ci rivela a caducità inarrestabile dell’immagine, la fine imminente di un ciclo temporale che tutto travolge e travolgerà.

Molto efficace è naturalmente la collocazione delle opere di Lady Be a ridosso dei mosaici romanici: è facile intuire la relazione che si compie nei medesimi gesti di artisti che a centinaia di anni di distanza compiono lo stesso paziente lavoro e sanno passare con disinvoltura dal grande al piccolo, alla ricerca di una misura visibile della realtà.

Ancora più interessante forse però è la relazione che implicitamente si instaura tra i volti composti di frammenti di materia moderna e le sale del romanico pavese, musealizzate proprio per sottolineare il ruolo di quei materiali antichi. Essi sono frammenti del passato, da leggere per intuire la complessità della Storia.

Lady Be legge i frammenti del tempo presente, rivelandone immediatamente la caducità e l’ammaliante, ma drammatica instabilità.

Questo slideshow richiede JavaScript.

I volti che hanno cambiato la storia

11 marzo – 20 maggio 2018

Musei Civici – Castello Visconteo Viale XI Febbraio 35 – Pavia

Orario: Da martedì a domenica: ore 10 – 18 Sabato 19 maggio, apertura straordinaria anche dalle 21 alle 24, in occasione della Notte dei Musei.

Ingresso alla mostra con biglietto della sezione romanica (4 euro),
Gratuito fino a 26 anni e dai 70 anni, studenti universitari e soci ICOM.




Pavia 14 marzo (3,14) – Pi greco, un mondo che non finisce

Per la seconda volta la città di Pavia festeggia il Pi greco. A promuovere l’evento l’Università degli Studi di Pavia in collaborazione con ARMT Milano (un’associazione di matematici no profit), l’Istituto Volta di Pavia, con il contributo dell’Istituto Nazionale di Alta Matematica “Severi” di Roma. La manifestazione, nata da un progetto a cura di Valeria Ferrari e Dario Molinari, patrocinata dal Comune di Pavia, si avvale della collaborazione delle scuole del territorio, per incoraggiare lo studio della matematica in modo sinergico con altre discipline (umanistiche, artistiche, musicali,…).

Se nella scorsa edizione si è analizzato il Pi greco da un punto di vista geometrico, in omaggio alla figura del cerchio, l’edizione del 2018 lo analizzerà a partire dai suoi aspetti aritmetici e dalla sua natura di numero irrazionale trascendente, i cui decimali non finiscono mai. Da qui il titolo della manifestazione di quest’anno: “Pi greco un mondo che non finisce”

Le cifre di pi greco, infatti, hanno una progressione infinita: al momento ne sono state verificate 22.459.157.718.361, 9 trilioni (ossia 9mila miliardi) dopo la virgola in più rispetto al novembre 2016, quando un supercomputer con 24 dischi rigidi, ciascuno con 6 terabyte di memoria, ha completato l’arduo compito. Se dovessimo stampare questo numero occorrerebbe una biblioteca con diversi milioni di volumi, ciascuno con migliaia di pagine.

Molto fitto il programma degli appuntamenti. Si inizia la mattina, nell’Aula del ‘400 dell’Università degli Studi di Pavia, con una serie di conferenze curate dai dipartimenti di Matematica e di Fisica per spiegare l’importanza di questo inafferrabile numero, che da sempre affascina e risolve problemi, da quelli puramente geometrici ai test informatici. Nei suoi quasi 4000 anni di storia, scienziati illustri si sono occupati di determinarne il valore, di dargli un nome e infine di celebrarne la ricorrenza. Gli interventi di carattere divulgativo metteranno in luce la versatilità di questo numero nato nella geometria e ora elemento di base per misurare i fenomeni elettromagnetici e fondamentale in tutti gli ambiti scientifici. Sarà l’occasione poi per ricordare anche l’anniversario della nascita di Einstein.

L’istituto Volta, con il suo Liceo Artistico, svolgerà un ruolo importante proponendo due conferenze, in Santa Maria Gualtieri, dedicate al tema dell’infinito nella storia dell’arte antica e contemporanea. Negli spazi della chiesa verrà allestita anche una mostra intitolata “Infiniti”: il titolo vuole alludere al senso di ispirazione infinita dell’arte, poiché in fondo, sculture e quadri, come ha osservato Giorgio Agamben, non sono altro che frammenti provvisori di un processo immaginario infinito.

Il Liceo Artistico Volta, inoltre, parteciperà con “Pi come Poesia”; i ragazzi di alcune classi hanno studiato l’inseparabilità di matematica, filosofia e poesia sul tema dell’infinito, che da sempre provoca nell’uomo un’indomabile tensione tra affascinazione e horror vacui. I ragazzi hanno scelto, letto, riscritto e commentato testi che vanno da Epicuro a Giorgio Caproni, e che inanellano preziose scie da seguire per il nostro conforto. I testi e i pensieri che hanno generato prenderanno suono dalla bella voce dell’attore Mauro Ardemagni. Abbiamo voluto chiamare questa piccola maratona “Ai bordi dell’infinito”, chiedendo aiuto all’intramontabile lucidità di Fabrizio De André. Con la canzone Cantico dei drogatli, Noor El Hajjeh chiuderà il nostro contributo.

Anche la musica avrà il suo momento, con concerti e improvvisazioni sulla sequenza numerica di Pi greco, curati dal liceo musicale Cairoli.

Negli spazi aperti della piazza della Vittoria ci saranno laboratori di matematica e fisica promossi da studenti e docenti delle varie scuole pavesi, dalle primarie all’Università, che hanno aderito all’iniziativa.

A chiusura della giornata, due appuntamenti da non perdere in libreria: presso la libreria Delfino, alle 18,00, il fisico teorico Vincenzo Barone dialoga con Mauro Canfora sul suo ultimo saggio L’infinita curiosità. Breve viaggio nella fisica contemporanea; in parallelo presso la libreria Feltrinelli, il matematico Giovanni Filocamo presenta con Valeria Ferrari il suo libro La matematica è un’opera d’arte. Un tema ideale per sintetizzare lo spirito che anima e caratterizza il pi greco day.

 




Copenaghen di Frayn in scena a Pavia

La Compagnia di Umberto Orsini, a diciotto stagioni dalla prima messa in scena italiana, porta nuovamente sul palco il testo dello scrittore inglese Michael FraynCopenaghen”. Il testo viene riproposto con gli stessi interpreti “originali”: Umberto Orsini, Massimo Popolizio e Giuliana Lojodice.

Il testo affronta un tema spinoso: il cruciale rapporto tra scienza e politica durante la seconda guerra mondiale. Tutto nasce da un episodio che non ha mai trovato una spiegazione: il repentino e furioso allontanamento tra due scienziati fisici nucleari, Niels Bohr, il maestro, e Werner Heisenberg, l’allievo. Cosa era accaduto tra i due? Forse una accesa discussione nata da differenti punti di vista rispetto al rapporto tra nuove scoperte e Nazismo.

Frayn immagina un incontro tra i luminari in una dimensione atemporale che si trasforma in una dissertazione di valore universale sui dubbi morali riguardanti gli studi di fissione nucleare e le possibili catastrofiche applicazioni. Nel settembre 1941 il fisico tedesco di origine ebrea Werner Heisenberg si recò a Copenaghen a colloquio con il suo maestro Niels Bohr. Questo accadde proprio mentre la capitale nordeuropea era occupata dai Nazisti e si stavano effettuando studi sulla costruzione della bomba atomica. La visita di Heisenberg mirava a convincere il maestro a passare dalla parte nazista? Oppure Werner voleva semplicemente avvertire l’altro scienziato che Hitler stava progettando la costruzione della bomba atomica? Voleva sabotare il Dittatore o più banalmente non aveva avuto l’intuizione per preparare l’ordigno? Non c’è risposta a questi interrogativi: la storia ci racconta solo che in seguito Niels Bohr di trasferirà in Inghilterra e poi negli Stati Uniti per far parte alla costruzione delle bombe che vennero lanciate su Hiroshima e Nagasaki.
A fare da moderatrice tra i due fisici si pone Margrethe, la moglie di Bohr.

I tre personaggi del testo è come se fossero particelle di atomi che provano a dare un senso alle loro vite, vittime di quella indeterminazione caratteristica delle faccende umane. L’autore sottolinea così una corrispondenza tra il principio fisico di indeterminazione – teorizzato da Heisenberg e che sostiene l’impossibilità di comprendere con certezza tutto ciò che riguarda il comportamento di un oggetto fisico – e l’indeterminatezza del pensiero e del comportamento umano.

La regia è di Marco Avogadro che ambienta lo spettacolo in uno spazio scenico che ricorda un’aula universitaria di fisica. Il valore della parola viene amplificato dai tre interpreti, tre grandi attori, che sanno mettere in luce le rispettive sfaccettature psicologiche: Massimo Popolizio interpreta con passione l’inquietudine di Heisenberg, Umberto Orsini dà forza e spigolosità al fisico danese e Giuliana Lojodice, che interpreta Margrethe moglie di Bohr, è una moderatrice pacata a tratti cinica.

Copenaghen

di Michael Frayn
regia Mauro Avogadro

con Umberto Orsini, Massimo Popolizio e con Giuliana Lojodice

dal 2 al 4 marzo 2018

Teatro Fraschini
Corso Strada Nuova, 136 – Pavia

Biglietteria: aperta dalle 11 alle 13 e dalle 17 alle 19 (da lunedì a sabato). Telefono: 0382/371214

Acquisto online su www.teatrofraschini.org

Tutti i prezzi sono pubblicati sul sito www.teatrofraschini.org

Riduzioni per scuole e studenti universitari.




Dalla parte degli animali: Annalisa Gimmi presenta il suo nuovo libro

Bestie come noi” è il nuovo libro/saggio scritto da Annalisa Gimmi, insegnante di lettere in un liceo pavese, giornalista, scrittrice e, soprattutto, paladina degli animali. Un libro che vuole far riflettere sull’importanza del rispetto di tutti gli esseri viventi. Un libro di forte contenuto, scritto con molta intensità, che, senza mezzi termini, denuncia tutti quei comportamenti, tipicamente ed esclusivamente umani, che si riflettono in modo drammatico nei confronti del mondo animale, di cui, peraltro, l’uomo stesso fa parte.

D. Perché hai deciso di scrivere un libro su questo specifico argomento?

R. Ho sentito la necessità di scrivere di questo argomento nel momento in cui mi sono resa conto che i libri attualmente in commercio sono o molto specifici e di difficile lettura oppure troppo semplicistici e quindi con conseguente banalizzazione del complesso rapporto uomo/animale. Ho quindi pensato di scrivere un testo molto semplice, divulgativo, ma completo, in cui ho affrontato il rapporto uomo/animale sotto ogni punto di vista, etico, filosofico e giuridico.

D. Quali sono gli argomenti più importanti che hai trattato?

R. Gli argomenti più grossi di cui mi sono occupata sono quelli legati all’allevamento intensivo e alla sperimentazione animale. Dico “più grossi”, perché coinvolgono una quantità di animali incredibile. Solo l’allevamento intensivo coinvolge più di 5 miliardi di animali all’anno. Il problema non è tanto il fatto che questi animali finiscono nei nostri piatti: l’uomo ha da sempre mangiato gli animali.  Quello che è immorale è come questi animali vengono fatti vivere.

Si parla tanto del grave problema di come vengano allevati questi animali, spesso con somministrazioni smodate di ormoni e antibiotici. Se ne parla tantissimo ma sempre ed esclusivamente dal punto di vista umano, cioè pensando al male che ci possono fare queste carni. Nessuno però sembra riflettere sul male che noi facciamo a questi poveri animali.

Per approfondire questo tema, ho incontrato Annamaria Pisapia, presidentessa di CIWF (Compassion in World Farming Onlus Italia). CIFW è una associazione internazionale, con sede anche in Italia, che si pone come obiettivo quello di cercare di migliorare la vita di questi animali angariati negli allevamenti. Gli animali trattati peggio sono i volatili di ogni genere, polli e tacchini, ma anche i conigli e i maiali, costretti in gabbie così piccole in cui non hanno alcuna possibilità di movimento, spesso malati e curati con dosi massicce di antibiotici che poi, tra l’altro, finiscono anche nei nostri piatti.

L’altro argomento estremamente spinoso è quello della sperimentazione animale. Il mondo medico avanza una giustificazione altamente morale per portare avanti la sperimentazione: sacrificare animali per la salute dell’uomo. Ho parlato con medici che dicono che questo non è assolutamente vero. La sperimentazione sugli animali poteva avere una sua ragione in epoca illuminista, nel Settecento, quando ancora non si sapeva molto sul funzionamento del corpo umano dal punto di vista fisiologico. Aprire e vedere il corpo di un animale, tra l’altro di un animale vivo, ha sicuramente portato l’uomo a conoscere meglio i meccanismi del proprio corpo.

Oggi, tuttavia, tale indagine non ha più alcun senso. Sperimentare farmaci per curare patologie proprie dell’uomo su specie viventi diverse porta a risultati inattendibili. Il Prof. Stefano Cagno, medico psichiatra, è stato uno dei primi, della sua categoria, ad alzare la voce contro l’inutilità di questa sperimentazione. Il Prof. Cagno (partendo dai dati ufficiali resi noti dalla Food and Drug Administration, l’organizzazione statunitense che si occupa dell’entrata in circolazione dei nuovi farmaci) sostiene che il 92% dei farmaci testati su animali non sono buoni per gli uomini. Ciò vuol dire che il 92% degli animali utilizzati sono sacrificati per niente.

Vi è poi un dato paradossale: la legge italiana, come la maggior parte delle leggi degli altri paesi, prevede anche l’obbligatoria sperimentazione dei farmaci direttamente sugli esseri umani. Questo dimostra, ancora una volta, che la sperimentazione sugli animali porta a risultati non attendibili, perché diversamente quale necessità ci sarebbe di sperimentare i farmaci sugli umani prima di metterli in commercio? Continuiamo nella lettura delle statistiche. Abbiamo detto che il 92% dei farmaci che hanno passato il test sugli animali sono da scartare perché tossici sull’uomo. Bene: di quelli sperimentati sugli umani, che poi vengono messi in circolazione, circa il 50% danno reazioni negative. Non ci vuole un luminare per capire che, tra l’altro, i farmaci reagiscono in maniera diversa da persona a persona. Sommando, quindi, questi dati, l’inattendibilità delle sperimentazioni sugli animali è pari al 98%. Non capisco perché a nessuno venga in mente che forse questo tipo di sperimentazione è sbagliato e sarebbe necessario trovare metodi alternativi. Purtroppo, ed è un dato incontrovertibile, non c’è volontà da parte degli enti pubblici di trovare questi metodi alternativi, al punto che non vengono neppure stanziati fondi per la ricerca.

D. Ci sono leggi che tutelano espressamente gli animali in Italia?

R. In Italia c’è la legge n. 189/2004 che dovrebbe proteggere gli animali. Dico “dovrebbe” perché, in realtà, non trova quasi mai applicazione e spesso viene furbescamente aggirata. Tale legge prevede anche l’istituzione di una figura molto importante: la guardia zoofila. Le guardie zoofile hanno il compito di verificare situazioni di maltrattamento animale, di cercare eventuali rimedi, laddove possibile, o denunciare alla competente autorità giudiziaria i casi particolarmente gravi. La legge, tuttavia, riesce anche a “negare se stessa” e a consentire espressamente i maltrattamenti degli animali nel momento in cui cristallizza la norma secondo cui non rientrano sotto la protezione della legge 189/2004 gli animali destinati a diventare cibo, quindi per allevamenti intensivi,  e quelli per le manifestazioni culturali, come il palio, o le manifestazioni tipo spettacolo, come il circo.

D. Quale è la posizione della Chiesa nei confronti degli animali?

R. Nel corso degli anni direi che c’è stata una piccola apertura da parte dei teologi. Certo, la maggior parte di questi, discrimina gli animali perché, diversamente dall’uomo, non dotati di anima. Ma sarà poi vero? Ho molto apprezzato il Papa che, in un’enciclica molto bella e molto coraggiosa, si è schierato apertamente in difesa della biodiversità, includendo nel termine tutte le creature viventi sulla terra. Ho scoperto poi l’esistenza di una piccola associazione di cattolici vegetariani che si batte perché il rapporto uomo/animale venga riconosciuto come paritario, come compagni nati con uguale dignità all’atto della creazione stessa. Questa mi sembra una cosa molto bella anche perché fino ad oggi molti cristiani, e spesso i sacerdoti stessi, sono stati veramente i peggiori nemici della difesa degli animali, proprio sul presupposto dell’asserita e non documentata circostanza che questi non hanno l’anima.

D. Quali benefici porterebbe invece una pacifica convivenza tra uomo e animale?

R. Sono convinta che un miglioramento comune, porterebbe a un vantaggio reciproco. Se li facciamo vivere meglio, gli animali ci danno tanto e migliorano la nostra vita. Nel libro ho fatto l’esempio della pet-therapy: con i cani, con i cavalli, con gli asini e, in generale, con tutti gli animali. Persino i pesci pare che diano una sensazione di serenità e pace in chi li osserva. La pet-therapy viene molto utilizzata anche negli ospedali, nelle case di riposo e negli ospizi. I dati dimostrano che dove c’è la presenza di un animale è più rapida la guarigione, perché l’umore della persona malata o dell’anziano, che spesso è fortemente depresso, migliora immediatamente. L’ospedale San Matteo di Pavia è stato tra i primi ad aver fatto sperimentazioni di pet-therapy nel reparto di chirurgia infantile, dimostrando che le guarigioni dei bambini sono così più veloci e che necessitano di meno farmaci. Un altro impiego interessante della pet-therapy è quello fatto nelle carceri, come ad esempio a Bollate: il rapporto che si instaura tra il carcerato e il cane è una cosa molto profonda. Il cane riesce a far venire fuori il lato umano della persona, permettendo a quest’ultima di ritrovare un contatto affettivo.

D. Hai affrontato anche il tema del randagismo?

R. Assolutamente. Il randagismo è un altro grande problema, soprattutto in molte zone del Mediterraneo compreso il sud Italia. Ho esaminato il problema dei cani randagi in Turchia, e come sia stato risolto con una semplice donazione di $ 2000, e quello della colonia felina romana di Torre Argentina. Ogni anno il comune cerca sempre di sfrattare la colonia romana, anche se a Roma i gatti sono considerati cittadini romani e patrimonio culturale della città. I turisti, soprattutto gli stranieri, vanno a Torre Argentina non tanto per fotografare i ruderi ma piuttosto i gatti che lì risiedono.

D. Oggi si parla molto di dieta vegana e vegetariana. Al di là delle questioni al bene che può fare mangiare della carne o dei derivati animali, pensi che sia crudele cibarsi di altri esseri viventi?

R. La crudeltà non è propria degli animali. Un animale che uccide per mangiare non è crudele, segue la natura. Noi se uccidiamo una mucca per mangiarla non siamo crudeli, mangiamo. Noi siamo crudeli quando trattiamo gli animali come vengono trattati negli allevamenti. L’essere crudeli tra i propri simili è una prerogativa unicamente umana; non c’è nessun altro animale che ammazza in modo sistematico i propri simili per motivi di odio e rancore. La verità è che siamo tutti uguali, abbiamo lo stesso modo di sentire, la stessa sensibilità al dolore e alla sofferenza. Non è una novità: lo aveva già detto nel Settecento Jeremy Bentham, un grande filosofo e giurista inglese.

Più recentemente, nel 1975 Peter Singer un filosofo australiano scriveva che l’uomo, quale unico detentore della ragione, va in giro a martoriare tutti quelli che, a suo insindacabile giudizio, la ragione non ce l’hanno. Ma forse un corretto, consapevole e umile utilizzo della ragione potrebbe diventare lo strumento per vivere meglio tutti quanti insieme.

fullsizerender

ANNALISA GIMMI
BESTIE COME NOI (ed. EFFIGIE)




Picasso e le sue passioni. Un percorso attraverso ciò che ha ispirato la sua arte. A Pavia fino al 20 marzo 2016

di Giorgia Schiera – Sita nel Palazzo Vistarino di Pavia, l’esposizione presenta più di 200 opere del pittore provenienti da numerose collezioni private.

La bellezza del palazzo settecentesco non fa altro che rendere ancora più piacevole la visita, e ci accompagna attraverso sette sale, ognuna delle quali è dedicata a temi e stili diversi.

Pablo Picasso è stato un pittore molto longevo, e perciò ha potuto creare molto e ha potuto attraversare in prima persona le più importanti correnti artistiche del Novecento.

Bambino prodigio, dopo l’infanzia a Malaga, vivrà quasi tutta la svita artistica a Parigi.

La pittura di Picasso si divide principalmente in 4 periodi. All’inizio si collocano il Periodo blu e il Periodo rosa, nei quali costruisce le figure restando però fedele ancora a quell’educazione accademica che aveva ricevuto e sviluppato negli anni dell’adolescenza: volumi ben torniti, spazio verisimile e punti di vista unico. In questa fase sono soggetto delle sue tele gli umili, i poveri, che rende utilizzando le tinte fredde del blu e del grigio. Nel periodo rosa il pittore si concentra su altre forme di emarginazione: i saltimbanchi e gli artisti di strada, stanchi e affaticati dalla vita, sono tratteggiati con toni caldi e fini tinte pastello.

Ma la rivoluzione arriva nel 1907: il Cubismo.

Picasso stravolge il concetto di pittura, realizzando le figure con più punti di vista diversi, frammentandole, per far in modo che sia lo spettatore a ricreare un’immagine ideale nella propria mente, aprendo quindi il dibattito su una domanda per il pittore fondamentale: “La pittura rappresenta davvero la realtà?”

Delle sette sale della mostra pavese, la prima è dedicata alla tauromachia, tema a lui molto caro, in quanto lo riporta alla sua infanzia. Per realizzarlo ha utilizzato la tecnica dell’acquatinta allo zucchero, una particolare tecnica di incisione. Sono esposte 26 incisioni, molto simili per stile e per rappresentazione. Non vi è colore, ma solo contrasti di chiaro scuro tra il bianco e il nero che danno dinamicità alla scena: il toro infatti sembra davvero si stia per lanciare alla carica contro il matador che intrattiene il pubblico in visibilio, mentre le linee semplici rendono le incisioni facilmente comprensibili e facilmente apprezzabili.

Passando alla seconda sala ci troviamo davanti al mondo dei saltimbanchi, tema certamente prediletto dal pittore nel suo periodo rosa. A Pavia sono però esposte solo stampe di incisioni in bianco e nero (acquaforte e punta secca). Il tema già praticato a Picasso, assume qui toni nuovi, che vanno dalla malinconia all’ironia.

Nelle sue rappresentazioni dimostra la solidità della sua tecnica e la razionalità con cui realizza i corpi e il loro volume attraverso tratti precisi, che poi andrà a svanire con il celebre quadro Le Demoiselles d’Avignon, punto di rottura tra Picasso post-impressionista e il nuovo Picasso cubista. Pur essendo piccole incisioni, sono capaci di trasmettere un certo senso di inquietudine, grazie allo stile che ricorda un artista come Munch, le cui incisioni producono le medesime sensazioni.

Nella terza sala è esposta una raccolta di studi di costumi per il Tricorno, un balletto di Sergej Aghilev (su musiche di De Falla), che affida al pittore la realizzazione della scenografia. Picasso ne studia i costumi e i decori disegnando vari bozzetti di personaggi che anima con colori brillanti, sia caldi che freddi. I personaggi hanno pose semplici, proprio per far comprendere la coreografia che le scene avrebbero  accompagnato.

Nella quarta sala sono esposti i poemi che Picasso ricopia dai Vingt Poems del poeta Louis de Gongora. Accanto al testo Picasso affianca incisioni di volti e corpi femminili, di cui alcuni semplici, mentre alcuni dal tratto elaborato, ma tutti  capaci di potenza espressiva e comunicativa, quasi come se le figure di Picasso fossero una vera personificazione di ciò che De Gongora ha scritto, e che Picasso ha riportato su incisione.

Entrando nella sala successiva ci si trova davanti al dipinto molto probabilmente ispirato alla compagna Dora Maal: Tetè de Femme. È la fase cubista del pittore, dove si esaspera la scomposizione per piani, per andare a ricreare una forma mentale dell’immagine.

Non ci troviamo davanti ad un’immagine vera e propria di donna, ma di forme geometriche che riescono a ricreare in noi l’immagine femminile.

L’uso dei colori non è armonico, le tonalità spente non trasmettono emozioni serene o di felicità, mentre la figura verso il basso si fa evanescente, come se stesse scomparendo per sempre, forse dalla vita del pittore.

Accanto alla Tète de Femme, ritratto della compagna, come potrebbe non trovarsi l’autoritratto del pittore stesso? Scelto come copertina della mostra, non ha è sottoposto a un forte processo di scomposizione, ma piuttosto una generale deformazione del viso. Picasso si è voluto rappresentare così, restando fedele al suo stile originale, e con un’idea di fondo geniale: la rappresentazione artistica come sintesi di mondo ideale e mondo infantile, in quanto da bambini non si è portati a disegnare razionalmente, ma solo seguendo il proprio istinto, la propria spontaneità, riportando l’arte alla sua forma più pura. Quella che vediamo quindi non è l’immagine del Picasso reale, ma è come Picasso vede la forma più pura di se stesso.

Consiglio vivamente a chiunque sia intenzionato a visitare la mostra di farlo nei prossimi giorni, non solo per l’originalità delle opere esposte, ma anche per ammirare un palazzo molto bello, aperto al pubblico solo poche volte all’anno.

È una visita rilassante e molto formativa che permette di trascorrere un bel pomeriggio ad ammirare le opere di un pittore che ha fatto la storia dell’arte e della cultura del Novecento.

PICASSO E LE SUE PASSIONI

Palazzo Vistarino – Pavia

Fino al 20 marzo 2016

www.picassoelesuepassionipavia.it

Questo slideshow richiede JavaScript.




Tranquillo Cremona e l’invenzione della Scapigliatura

di Emanuele Domenico Vicini – Cade proprio in questi giorni l’anniversario canonico e di tradizione per la nascita della Scapigliatura lombarda: il 6 febbraio. Il riferimento è al titolo del romanzo manifesto di Cletto Arrighi (al secolo Carlo Righetti) La Scapigliatura e il 6 febbraio, che racconta del giovane Emilio Digliani, focoso patriota nella Milano del 1853, destinato a un amore infelice, alla ribellione contro il perbenismo borghese e alla morte contro l’invasore austriaco.

È lui il prototipo dello scapigliato, «pandemonio del secolo, personificazione della storditaggine e della follia, serbatoio del disordine, dello spirito d’indipendenza e di opposizione agli ordini stabiliti», come recita l’Introduzione al romanzo. Sono i Bohémien all’italiana, giovani di classi sociali medio alte che, per posa o per profonda convinzione, scelgono una vita di opposizione al mondo di valori sociali da cui provengono e diventano artisti “contro”.

A celebrare l’originalità e l’attualità di questo movimento, il prossimo 26 febbraio si inaugura alle Scuderie del Castello Visconteo di Pavia una delle mostre più attese del 2016, Tranquillo Cremona e la Scapigliatura, aperta fino al 5 giugno. L’autorevolezza scientifica dei musei pavesi e la capacità imprenditoriale di ViDi, società provata che di fatto realizza la mostra, insieme, hanno dato vita a molti progetti interessanti (l’ultimo è stata la mostra dedicata ai Macchiaioli, sempre nel museo pavese, nel 2015).

Ora il nuovo tema è la Scapigliatura, il movimento tutto lombardo che nella seconda metà del XIX secolo ha inaugurato un cammino di rinnovamento della cultura italiana, sfociato non molti anni dopo nel fenomeno dell’avanguardia futurista.

A rendere sicuramente interessante l’evento è la scelta di proporre un percorso “guidato” dalle parole di Tranquillo Cremona, pavese, il pittore scapigliato per eccellenza, che ha lasciato, oltre a un catalogo di opere pittoriche di grandissimo fascino, anche molti scritti che raccontano le impressioni, le emozioni, la voglia di essere nuovi, diversi alternativi, di quel gruppo di giovani artisti, pittori, letterati e musicisti che scelsero, a metà tra goliardia e provocazione di chiamarsi scapigliati.

La condizione di ribellione che anima il gruppo scapigliato è prima di tutto artistica e letteraria e si radica molto in profondità. Essa trae alimento da radici politiche e sociali drammaticamente confitte nell’humus risorgimentale. Quella che era parsa un’epopea gloriosa si rivelava un fallimento, specie agli occhi di chi vi aveva visto l’inizio di una nuova era. L’arretratezza economica, l’analfabetismo, il brigantaggio: segni evidenti di un’Italia unita dalle cancellerie ma non nella sostanza civile.

Essere scapigliati quindi, nella Milano degli anni Sessanta e Settanta dell’Ottocento significa opporsi all’imborghesimento, al perbenismo, alle smancerie salottiere; significa scegliere atteggiamenti insolenti e guasconi, giocare sul sottile filo del maledettismo ispirato dal maestro Baudelaire e indulgere in comportamenti tra il goliardico e l’antisociale, fino alla scelta di uno stile di vita trasandato, fatto di abiti anticonformisti e barbe fluenti.

Certo, oggi la pittura scapigliata tutto ci può sembrare tranne che violentemente di opposizione: ritratti, paesaggi, scene d’amore sono i temi di questi artisti. Ma nel contesto della seconda metà dell’Ottocento, quando in altre città d’Italia trionfa la pittura che in gran pompa celebra l’unificazione nazionale, scegliere di abbandonare del tutto il tema storico politico e soprattutto di superare ogni forma di tecnica accademica che ancora era vincente negli ambienti della cultura ufficiale, significava davvero voler scuotere dalle fondamenta abitudini e tradizioni artistiche consolidate e irrigidite da una prassi rigorosa.

Tra i grandi scapigliati ricordiamo subito Daniele Ranzoni, che nell’arte del ritratto sociale raggiunge una leggerezza e una luminosità trepidante davvero uniche. Le sue opere raccontano il bel mondo della upper class lombarda del tempo. I Troubetzkoy, i Pisani Dossi, i De Lorenzi Sordelli sono i suoi committenti. Bambini e giovani fanciulle i suoi soggetti. Dalle sue tele traspaiono corpi vibranti, colti in una posa intensa ma sfuggente, elaborata ma sentitamente naturale. Gli sguardi, le angolazioni, le delicatissime ombre, che trascolorano da fondi scuri a primi piani di un candore lunare, raccontano di animi malinconici, pervasi dal dubbio, dall’inquietudine, come colti da un senso della decadenza che ci porta ormai alle soglie della modernità novecentesca. Le sue protagoniste anticipano la complessità delle figure femminili più moderne, colte nella loro contraddizione: più Carlotte di sapore gozzaniano che femmes fatales dannunziane.

Tranquillo Cremona, pavese di nascita, educato a Venezia e poi a Brera, è il pittore di punta del gruppo, non tanto in temi un po’ melodrammatici, tanto carichi da essere – forse involontariamente – comici, come L’edera o Attrazione, quanto nelle scelte di stile. La materia è leggera, il colore diffuso, tutto è sfocato in una luce iridescente che suggerisce nella vibrazione continua i risultati che alcuni anni dopo daranno vita alla parabola impressionista. Persone cose e ambiente si fondono nelle brillanti sfumature dell’atmosfera, anticipando in modo mirabile le ricerche divisioniste e futuriste (proprio milanesi).

Il suo capolavoro è sicuramente il Ritratto di Nicola Massa, fascinoso giovanotto del bel mondo, in realtà ormai riconosciuto dalla critica come Guido Pisani Dossi (e scambiato fin all’inizio con il cugino Nicola Massa, a lui molto somigliante) attivo scapigliato, insieme con i fratelli Alberto e Carlo.

Nettissima è l’originalità della tela. Il bel dandy guarda con sfrontatezza verso di noi, oltre noi, l’occhio semichiuso, forse annebbiato da una vita di mondanità, la sigaretta stanca nella mano sinistra, l’abito di luminoso velluto nero e il corpo adagiato mollemente su una seta cangiante.

La pennellata sfatta, composta nei passaggi di tono come piani di luce, conferisce un senso di provvisorietà, di precarietà, nel quale cogliamo tutta la consapevolezza della caducità di un mondo di piaceri e leggerezza. Non a caso questo ritratto è anche diventato copertina per un’edizione italiana del Ritratto di Dorian Gray. Nicola Massa non partecipa della stessa perversa fascinazione del personaggio di Wilde, ma ne condivide l’alterigia, il senso del bello e la malcelata tristezza.

Non possiamo dimenticare, e la mostra ci aiuta molto bene, che la Scapigiatura è stata anche scultura e musica, in nome di una unità delle arti, predicata dai protagonisti di questo movimento, concetto potentemente originale che troverà eco solo nelle sperimentazioni Jugendstil viennesi di primissimo novecento.

Se la pittura ha gioco facile nel disfare la materia in luce e colore, molto più complesso è il discorso scultoreo dove domina la solidità del metallo.

Giuseppe Grandi, capofila degli scultori scapigliati, sa imprimere ai suoi bronzi un modellato vibrante, pittorico, fatto di pieni e vuoti leggerissimi, di increspature sottili che generano un movimento luminoso di grande efficacia.

Il suo capolavoro è il Monumento alle Cinque Giornate di Milano, realizzato tra il 1881 e il 1894 per Porta Vittoria e posto nella piazza omonima, splendido esempio di scultura che vibra come pittura.

Nelle Note azzurre, diario funambolico che lo scapigliato Carlo Dossi tiene tra il 1870 e il 1907, si narra che Grandi si fosse procurato un’aquila e un leone in carne e ossa come modelli vivi e veri per il suo monumento: coup de théâtre in pieno stile scapigliato e geniale intuizione sul rapporto tra arte e realtà.

Questo slideshow richiede JavaScript.

Tranquillo Cremona e la Scapigliatura

dal 26 febbraio 2016 al 5 giugno 2016

Scuderie del Castello Visconteo di Pavia