Il Santuario della Madonna della Costa a Sanremo

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di Emanuele Domenico Vicini

Inerpicarsi per la Pigna di Sanremo in una mattina di agosto può sembrare impresa ardua: il caldo sulla costa tende a stroncare qualsiasi intenzione diversa da un rinfrescante bagno di mare.

Se però vincete il caldo e da Via Palazzo prendete verso le Rivolte di San Sebastiano, superata Piazza Cassini, vi trovate di fronte al dedalo di salite che, curva dopo curva, vi porta ai prima ai Giardini della Regina Elena e, subito dopo, al Santuario della Madonna della Costa.

Raggiunta la cima, alla vostra sinistra vedete l’Opera Don Orione e alla vostra destra la vallata dietro Porto Sole. Davanti a voi si apre la piazza che porta all’ingresso del Santuario.

Dopo i ripidi e buoi passaggi della Pigna, il sole vi invade gli occhi e la perfetta geometria della chiesa, meravigliosa quinta scenografica al termine della piazza in saluta, vi dona un senso di luminosa serenità e di quiete, al termine del cammino.

La basilica è citata per la prima volta nel 1474, ricordata come luogo nel quale i sanremesi festeggiavano la liberazione della tirannia dei Doria (risalente la secolo precedente).

L’attuale edificio venne eretto nel 1630, ma la cupola e la facciata furono completate più di cento anni dopo, ad opera dell’architetto Domenico Belmonte di Gazzelli.

Il santuario si sviluppa in pianta longitudinale, a croce latina, composto di una navata e un ampio transetto con altari devozionali.

La foggia esterna (dopo gli interventi del Belmonte) e l’organizzazione dello spazio e delle decorazioni all’interno denunciano l’acquisizione ormai compiuta del linguaggio barocco centro italiano.

La facciata si sviluppa in altezza, con andamento rettilineo completata, nel registro superiore, da un fastigio ampiamente decorato che ricorda il rango di Santuario e, nell’arco di chiusura, da un altro fastigio, di minor enfasi, che cita la dedicazione all’Assunzione di Maria.

Con una soluzione sintetica molto efficace, il tema tipicamente romano dei campanili di inquadramento viene riproposto “riassorbendo” però le forme dei due corpi verticali nel piano stesso della facciata. Due coppie di paraste lisce muovono le parti estreme della muratura, concludendo il loro percorso nei torricini campanari, che, insieme con il fastigio di coronamento e la sagoma della cupola retrostante, dinamizzano la struttura e bilanciano la solennità dell’insieme.


Nella luce chiarissima della prima collina, il Santuario si erge, solenne ed elegante, nei colori pastello dell’ocra dell’azzurro che si stagliano contro il cielo e il verde della vegetazione.

L’interno offre una riposante penombra di raccoglimento. Esso si configura come spazio di preghiera, con stalli in foggia di coro che percorrono tutta la navata, segno, probabilmente, della presenza di confraternite che qui svolgevano le proprie funzioni.

Le immagini si alternano in forma di scultura e di tele dipinte.

Meritano citazione la Decollazione del Battista di Giulio Cesare Procaccini, e la Visita a Santa Elisabetta del ligure Bartolomeo Guidobono.


Pur essendo molto difficile ricostruire le vicende di committenza (nel caso del Procaccini, in particolare si potrebbe ipotizzare che la tela si stata realizzata per l’edificio prima della riforma barocca), l’insieme ha una sua omogeneità molto evidente: le opere accentuano il carattere devozionale di tutto il santuario e, pur differenti nelle soluzioni stilistiche, sono accomuniate dallo stesso senso di sobrietà e rigore tipici di una precisa linea di pensiero sull’arte della controriforma nel Nord della penisola.
Completa la decorazione il catino absidale, con l’Assunzione di Maria, ad opera di Giacomo Antonio Boni, bolognese, ma attivo a Genova fino alla metà del Settecento.

Memore in parte dei trionfi prospettico illusionistici della grande tradizione Correggesca, la decorazione di Boni, composta di affresco e stucchi, ben ordinata nella sua sintassi compositiva, racconta l’evoluzione e – in parte – la semplificazione delle tendenze stilistiche e del gusto a metà Settecento.
Ancora legato al gusto romano è l’uso di colonne tortili nell’abside, per scandire gli spazi decorati dell’altare maggiore e delle due nicchie ai suoi lati.
Con le colonne in rilievo rispetto alla muratura di fondo, si genera così un sistema plastico architettonico vibrante e dinamico, memore delle esperienze barocche lombarde.

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